Una rosa bianca e il dolore di due madri segnate da destini opposti

Una rosa bianca e il dolore di due madri segnate da destini opposti
Due madri, due destini opposti, ognuno tragico a suo modo, che ieri nel tribunale di Frosinone si sono incrociati per un istante. A un certo punto la madre di Emanuele Morganti si...

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Due madri, due destini opposti, ognuno tragico a suo modo, che ieri nel tribunale di Frosinone si sono incrociati per un istante. A un certo punto la madre di Emanuele Morganti si è avvicinata a quella di Michel Fortuna e le ha regalato una rosa bianca legata con un fiocco rosso: «Questa è per lei». Improvvisamente nella sala d’attesa del palazzo di giustizia è calato il gelo. Lei, la signora Lucia, al suo adorato Emanuele, i fiori li porta ogni giorno. Non c’è mattina in cui la signora non si rechi al cimitero. Quando capita che non ci può andare, ci pensa nonna Natalina a non lasciare mai da solo il nipote. La vita aveva già messo a dura prova la signora Natalina strappandole alla vita una figlia venti anni fa. «Spero che adesso – ha raccontato l’anziana- che Emanuele sia con lei e che mi diano entrambi la forza per superare questo dolore indicibile che ha distrutto la nostra vita». La rosa bianca è rimasta appoggiata ad una finestra del palazzo di giustizia. La madre non si è sentita di portarla con sé. La donna ha atteso l’esito dell’udienza all’esterno dell’aula. Suo figlio, Michel Fortuna, è accusato di aver sferrato gli ultimi colpi letali a Emanuele. «Non è stato mio figlio - ha continuato a ripetere tra le lacrime la donna -. Quella sera lui si trovava davanti al locale perché era andato a riprendere la sorella che si era sentita male. Non può essere stato mio figlio, non ci credo. Michel non farebbe male ad una mosca. Sono dieci mesi che non lo vedo. Gli unici contatti che ho con lui sono le lunghe lettere che mi scrive. Io sono certa della sua innocenza». Parole della madre di un figlio accusato del crimine più grave. Ma a stabilire cosa sia accaduto quella maledetta notte ci penseranno i giudici.
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Il Messaggero