Treno deragliato, la mamma di una vittima di Roccasecca: «Rivivo quanto accaduto 15 anni fa»

Treno deragliato, la mamma di una vittima di Roccasecca: «Rivivo quanto accaduto 15 anni fa»
«Quando sento notizie di questo tipo spengo la tv perché rivivo tutto quello che ho sofferto 15 anni fa. Sono passati 15 anni, ma per me è come se...

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«Quando sento notizie di questo tipo spengo la tv perché rivivo tutto quello che ho sofferto 15 anni fa. Sono passati 15 anni, ma per me è come se fossero passati pochi giorni. È una ferita terribile. Soffro per quelle persone che

ci rimettono la vita, ma provo anche rabbia perché si pensa alla Tav, alle grandi opere e poi...si muore in questo modo». Titina Petrosino, mamma di Francesco Martino, il giovane che, insieme ad Antonio Vallillo, perse la vita nel tragico incidente ferroviario di Roccasecca ( Frosinone) avvenuto il 20 dicembre 2005 esprime così all'Adnkronos tutta la sua «rabbia» per l'ennesimo incidente ferroviario avvenuto stamattina vicino Lodi e in cui hanno perso la
vita due persone.

Quel pomeriggio di quindici anni fa Francesco, 25enne studente a Roma fuori sede, sale sul treno per tornare a casa. Mancano pochi giorni a Natale e vuole tornare in Molise per trascorrere le feste in famiglia. Appena si sistema sul convoglio telefona alla mamma: «Il treno è affollatissimo, ma sono riuscito a sedermi», le dice. «Purtroppo -
osserva oggi con amarezza la signora Titina - era il posto sbagliato». 

All'altezza di Roccasecca, vicino Frosinone, un treno regionale imbocca il binario già occupato dall'altro treno travolgendo letteralmente l'ultima carrozza. Francesco nello schianto rimane gravemente ferito e morirà dopo il trasporto in ospedale.

«Mi fa rabbia», sottolinea la mamma Titina Petrosino secondo la quale nel caso di suo figlio sarebbero bastati «sistemi di sicurezza che potevano costare 300-400 euro». Nella vicenda giudiziaria per il disastro ferroviario di Roccasecca furono coinvolti due macchinisti che, dopo una condanna in primo grado, furono assolti in appello e poi
in via definitiva. Tra gli elementi al centro dell'inchiesta il colore del semaforo, rosso o verde, che regolava l'ingresso alla stazione. I due macchinisti assolti si sono sempre difesi affermando di aver visto il semaforo verde. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero