OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
I Mottola si sono comportati in modo «pervicace e spietato» nel nascondere quanto realmente accaduto a Serena Mollicone. «Si può ritenere che la condotta dei Mottola (tutti concorrenti sul piano materiale e morale) è stata, dunque, non solo assolutamente anti-doverosa ma anche caratterizzata da pervicacia e spietatezza nel nascondere quanto realmente accaduto». Così il pubblico ministero Beatrice Siravo e il procuratore capo Luciano d'Emmanuele, definiscono l'accaduto nell'atto di appello con il quale è stata chiesta la condanna per Franco, Marco, Annamaria Mottola, Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano. In 275 pagine l'accusa ripercorre, criticamente, le motivazioni della corte d'assise di Cassino che ha assolto tutti gli imputati.
Serena Mollicone, l'attendibilità del brigadiere
La procura di Cassino ribatte poi sulla piena attendibilità del brigadiere Tuzi (morto suicida nel 2008) il quale, sette anni dopo, riferì di aver visto entrate una ragazza in caserma la mattina del primo giugno 2001 , descrivendola come Serena Mollicone. Il capitolo Tuzi viene defini il "cuore pulsante del perocesso", ma centralità viene confermata alle consulenze tecniche della professoressa Cristina Cattaneo, sulla porta contro la quale sarebbe stata sbattuta la 18enne, e agli accertamenti del Ris di Roma.
La difesa
Le difese degli imputati, allo stato, tutti innocenti per effetto della sentenza di primo grado, per ora non hanno commentato l'atto di appello. Il pool della difese Mottola, tramite il criminologo e portavoce Carmelo Lavorino aveva "consigliato" di non fare appello, ma la procura ha tirato dritto.
In questi mesi, come indicato con un esposto, c'è stata anche la comparazione delle impronte digitali (rimaste ignote) trovate sotto il nastro utilizzato per bloccare il corpo della studentessa con quelle dell'assassino di Samanta Fava, ma l'esito è stato negativo.
Leggi l'articolo completo suIl Messaggero