Facebook licenzia uno dei suoi dipendenti più critici verso l'atteggiamento del social media sui post di Donald Trump sulle proteste per George Floyd. Brandon Dail...
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A far scattare l'ira di Dail, e di molti altri dipendenti di Facebook, è stato il post del 29 maggio di Trump in cui il presidente definì «criminali» i manifestanti di Minneapolis, la città dove è stato ucciso Floyd. Un post bollato da Twitter come 'incitazione alla violenzà, mentre Facebook non è intervenuta, su decisione di Mark Zuckerberg. Le polemiche sono state immediate, sia all'interno della società che fuori. «Deluso di doverlo dire: l'incitazione alla violenza di Trump su Facebook è disgustosa e dovrebbe essere segnalata e rimossa dalle nostre piattaforme. Sono categoricamente in disaccordo con ogni politica che sostiene il contrario», aveva twittato Dail dopo le spiegazioni di Zuckerberg. Il primo di giugno centinaia di dipendenti di Facebook, incluso Dail, hanno incrociato le braccia e abbandonato le loro postazioni di lavoro per manifestare la loro contrarietà all'inazione di Facebook. Le polemiche sempre più infuocate hanno però spinto Zuckerberg ad avviare una revisione delle politiche societarie. E forse anche a riassumere Chris Cox come chief product officer a un anno del suo addio. Prima della sua uscita Cox - soprannominato da alcuni 'la coscienza di Facebook' - aveva posto in cima all'agenda delle priorità la lotta ai contenuti controversi e alla disinformazione. Diversi manager della società all'epoca avevano fatto spallucce. Ora probabilmente dovranno tornare sui loro passi.
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Il Messaggero