25 novembre/ La forza delle donne nelle storie del passato

25 novembre/ La forza delle donne nelle storie del passato
Esiste un mito dell’antica Roma emblematico per ciò che concerne le donne e il drammatico percorso che hanno dovuto intraprendere. Eva Cantarella lo ha riportato in...

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Esiste un mito dell’antica Roma emblematico per ciò che concerne le donne e il drammatico percorso che hanno dovuto intraprendere. Eva Cantarella lo ha riportato in più di un libro; io stessa l’ho citato in più circostanze. É quello di Tacita Muta, di cui Ovidio narra nei Fasti. All’inizio si chiamava Lara o Lala: in greco, laleo significa “parlare”. Era una ninfa e amava chiacchierare. É, quello del “parlar troppo”, un difetto imputato alle donne. Lara si era gloriata con la sorella Giuturna della corte che Giove le faceva. Giunone lo aveva saputo e si era infuriata, ostacolando lo sposo. Rabbioso, Giove aveva fatto strappare la lingua alla ninfa. Poi aveva mandato Mercurio per portarla agli Inferi. E costui aveva violentato Lara. Dallo stupro sarebbero nati due gemelli, i Lares compitales. Divenuta ormai Tacita Muta, l’antica ninfa simboleggiò da allora non solo il silenzio ma il “grande silenzio”, quello eterno. Sarebbe stata onorata - magra consolazione - a Roma il 21 febbraio di ogni anno, con riti propiziatori.


Si tratta, dunque, di una storia di voci tacitate, di silenzi imposti. Un destino capitato a molte, nei secoli. É invece un dovere narrare, ricordare, raccontare. Quello di “restituire la voce” - metaforicamente e non - è un compito che da anni ci siamo prefissi su queste pagine, scrivendo di donne di tutti i tempi, tutte le condizioni, tutti i paesi. A volte sconosciute. O celebri. Donne che sono riuscite, a dispetto di circostanze avverse e tempi non certo propizi alle pari opportunità, a parlare, ad affermarsi, a ribellarsi. Magari pagando con la vita o con la libertà. Basti pensare alla pittrice Artemisia Gentileschi, che nel Seicento ebbe il coraggio di denunciare il suo stupratore, sopportando la tortura senza ritrattare. Oppure a Olympe de Gouges, ghigliottinata durante la Rivoluzione francese perché voleva che fossero proclamati i Diritti della donna, oltre a quelli dell’uomo. A Colomba Antonietti, che si vestì da uomo e combatté per difendere la Repubblica Romana, uccisa da una palla di cannone sulle mura del Gianicolo. A Emmeline Pankhurst, la suffragetta inglese dell’Ottocento più volte arrestata perché lottava per il voto alle donne. A Rosa Luxemburg, rivoluzionaria tedesco-polacca che difendeva le libertà e fu assassinata dai suoi vecchi compagni di partito, inquadrati dai socialdemocratici. E a tante altre.


Donne che hanno spesso fatto la Storia, oltre alle loro personali storie. E sono state magari dimenticate. O mal comprese. O calunniate. Eppure rappresentano “l’altra faccia della luna”: a loro dobbiamo molto. Come alle altre, quelle che non si conoscono affatto. Oggi, “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, è indispensabile ricordarle. Perché le doverose battaglie contro la violenza si combattono anche collocandole in un contesto storico. Senza passato, senza comprensione del passato, non c’è futuro. Non c’è futuro migliore, soprattutto. Bisogna trovare “le parole per dirlo”, anche in nome di quelle - tante, in tanti paesi del mondo contemporaneo - che non possono farlo. E non per riscrivere la Storia, bensì raccontarla per intero.
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Il Messaggero