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Adesso qualcosa è più chiaro nella strategia russa sulla crisi ucraina. Se sia tutto reale o se sia l’ennesimo rilancio in una partita di poker lo vedremo. Putin voleva ampliare la sfera di presenza russa e non a caso ha citato perfino Lenin: le due aree russofone da tempo teatro di una guerra civile dentro l’Ucraina a cui sono state legate dalla dissoluzione dell’Urss vengono riconosciute come stati indipendenti satelliti di Mosca. Al tempo stesso il presidente russo punta a destabilizzare l’Ucraina chiamando quella popolazione a ribellarsi contro le sue élite dirigenti, presentate, non senza qualche fondamento, come corrotte e incapaci di promuovere il benessere del loro popolo. In sostanza un invito alla lotta interna per stabilire un nuovo regime filo-russo, come pure c’è già stato in passato, oppure per precipitare il paese in un caotico scontro interno che impedisca una penetrazione occidentale ben più di quel che si potrebbe garantire col solito trattato internazionale.
Al momento è Putin che dà le carte e sfida l’occidente a reagire. Lo fa perché ritiene che la tradizionale “alleanza atlantica” sia oggi meno solida di quel che si potrebbe supporre. In effetti la consonanza di vedute dell’Europa con gli Usa è abbastanza strutturata sul piano ideologico, pur con qualche falla, come vedremo. Ma la consonanza di interessi lo è molto meno.
Biden ha già detto che gli Usa non intendono impelagarsi in una guerra, che sarebbe troppo rischiosa e che probabilmente non troverebbe consenso popolare. Si può lavorare con le armi delle sanzioni, ma qui sta il punto debole: il costo delle sanzioni, se applicate seriamente, per Washington non è lo stesso che per l’Europa. Anzi poi a livello europeo gli interessi sono anche diversificati fra i diversi stati in una Ue molto allargata, ma ancora poco unitaria nelle sue strategie politiche e soprattutto economiche.
Di fatto il gioco si fa duro, e non sappiamo, per ricorrere alla solita immagine, se dalle nostre parti abbiamo i duri a cui piace partecipare a quel genere di imprese. Del resto dobbiamo ricordare che l’Europa ha qualche problema sul fronte militare, visto che dentro la Nato c’è anche la Gran Bretagna a cui non pare vero di fare il primo della classe nei rapporti con Washington, ma ci sono al tempo stesso alcuni ex satelliti della vecchia Urss che da un lato hanno un forte odio anti-russo, ma che dall’altro non sono così distanti dalla filosofia politica dell’autocrazia slava (anche se la chiamano democrazia illiberale). E’ una prova difficile per l’Europa fiaccata da due anni di pandemia con tutte le sue ricadute economiche e sociali, ma soprattutto che fatica a trovare una leadership dietro cui unirsi. E’ una fortuna che siamo nel semestre di presidenza francese, perché ci chiediamo cosa sarebbe successo se per la Ue avesse parlato la presidenza di turno di qualche paese meno attrezzato sul piano della politica internazionale (giusto o meno giusto che sia Parigi siede nel consiglio di sicurezza dell’Onu). Al tempo stesso il presidente Macron è un capo di stato che deve affrontare una prova elettorale non semplice e la sua leadership non è certo pacifica all’interno del Consiglio Europeo. La Germania non è un attore secondario, non solo per il suo peso economico, ma per la sua presenza diretta al confine col mondo slavo con il quale ha molti e complessi rapporti.
La questione del gasdotto North-stream è solo la punta di un iceberg a base molto più ampia. Inutile aggiungere che l’Italia si trova in una posizione complicata: da un lato ha la fortuna di avere un premier con alta credibilità internazionale (e con molti rapporti nelle elite dirigenti dei vari paesi), dal lato opposto è ingabbiata in una fibrillazione del suo quadro politico che indebolisce inevitabilmente la compattezza della nostra azione (quanto meno perché i vari attori in campo avranno la tentazione di infilarsi nelle diatribe fra i vari partiti). La situazione insomma è piuttosto calda e c’è da sperare che l’Europa comprenda la delicatezza del momento e ritrovi quella coesione che ogni tanto sembra finire in secondo piano. Come in tutti i bluff il rischio è che per non essere costretti a calare le carte i vari giocatori continuino nel gioco perverso di procedere di rialzo in rialzo. Nel riuscire a costringere tutti a liberarsi da questa spirale fatale sta la speranza del nostro futuro. Possibilità di farcela ce ne sono ancora, basta essere uniti e non sprecarle.
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