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Le notizie sul ritiro – lo spostamento da una riva all’altra del Dnepr – delle truppe russe da Kherson, su una generica disponibilità russa al negoziato e le altre che arrivano dal fronte, incrociate con le valutazioni che circolano nelle principali capitali, fanno pensare che forse qualcosa in Ucraina si stia muovendo. Di conseguenza, e con tutte le cautele del caso, si è aperto uno spazio per la diplomazia. Siamo ai tempi supplementari di una partita che ha rimesso tutto in gioco e occorre quindi che la diplomazia si muova rapidamente e esprima al meglio le proprie capacità.
Il Ministro degli Esteri russo Lavrov dice che la Russia è pronta a negoziare, ma “ogni proposta deve avere un valore aggiunto” per Mosca. Mettiamo le carte sul tavolo e costringiamo i russi a mostrare le loro. Il governo italiano si sta muovendo molto bene sull’Ucraina, all’insegna di una continuità apprezzata a livello internazionale. Le dichiarazioni esplicite ieri del Premier Meloni dopo l’incontro con il Segretario Generale della Nato Stoltenberg (sostegno all’integrità territoriale, alla sovranità e alla libertà dell’Ucraina) e le interviste su questo giornale del Ministro degli Esteri Tajani domenica e ieri del Ministro della Difesa Crosetto indicano chiaramente i termini di riferimento dell’azione italiana. E con una simile posizione ci sono a nostro avviso le condizioni per un’iniziativa diplomatica dell’Italia. L’obiettivo a breve è chiaro: far cessare il confronto armato. E ciò non significa arrivare automaticamente a una pace che tutti vogliono giusta. Ma giusta per chi e partendo da quali presupposti? Non dimentichiamo che c’è un Paese che ha aggredito e uno che si difende. Nella pratica diplomatica un’iniziativa giusta vuol dire riconoscere qualcosa a entrambi, e lì sta il difficile di un esercizio che, nell’ambito di un indirizzo politico ben definito al più alto livello, tocca poi ai professionisti gestire senza clamore mediatico.
L’obiettivo a breve termine deve essere il cessate il fuoco. Poi si potrà iniziare a lavorare sulle condizioni di una pace e, infine, immaginare una conferenza internazionale.
Oggi si potrebbe fare riferimento a un modello e a un metodo di lavoro che nel complesso non ha funzionato male, il Gruppo di Contatto sulla ex-Jugoslavia nella seconda metà degli anni ‘90 con Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti, riunitosi nell’ultima fase relativa alla crisi per e in Kosovo senza la Russia, storica protettrice della Serbia. Quali sono i Paesi che dovrebbero fare parte? Certamente gli stessi europei (Francia, Germania, Italia e Regno Unito) e gli Stati Uniti, sicuramente la Turchia e anche l’Unione Europea. Tra i Paesi che possono svolgere un ruolo per favorire la cessazione della guerra, rendere possibile un negoziato giusto e realistico sulle questioni territoriali, e quindi su una possibile pace, ci sono certamente la Cina e anche l’India. Un altro Paese con il quale si dovrebbe avviare un dialogo è l’Iran, anche se oggi alle prese con una delle crisi interne più difficili. Né si deve sottovalutare il ruolo che sta svolgendo e può svolgere la Santa Sede. Premessa di un lavoro in grado di produrre risultati efficaci è una condivisione delle posizioni di partenza e degli obiettivi da raggiungere e suddivisione dei contatti sui quali lavorare. Lasciamo però da parte grandi proclami in nome della pace che poco aiutano, o richieste che suonano di parte. La Russia si sente ancora una grande potenza e dovrà quindi avvertire una diversa considerazione da parte americana (rispetto delle forme nei contatti e chiarezza sul concetto di “regime change” di responsabilità del solo popolo russo). Altrettanto vale nei rapporti con la Cina e con l’Iran, che richiedono entrambi un approccio particolare. Su entrambi questi Paesi l’Italia può svolgere un ruolo originale (la liberazione ieri di Alessia Piperno è un segnale positivo), così come anche sulla Russia. Sembra quindi che quel treno per Kiev fermo da tempo in stazione possa ripartire. Se dovesse rendersi necessario, quel passeggero che è sceso recentemente potrebbe, se ritenuto necessario e se disponibile l’interessato, risalire e svolgere un ruolo nell’interesse della pace e a nome di tutti.
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Il Messaggero