Dilazionare, sopire, troncare. C’è un progetto preciso che muove quella che aspira ad essere la nuova maggioranza del no alle urne subito. E che comprenderebbe, anche...
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Oppure, più probabilmente, non rappresenti soltanto l’unione dei reciproci tatticismi con lo scopo di evitare le urne per un po’, allontanando l’amaro calice. Diverso sarebbe, se si puntasse a un governo veramente di legislatura, voglioso e capace di un’azione di lunga durata e non di sguardo corto. Ha rilanciato questo tipo di ipotesi più sostanziosa ieri sera Zingaretti, ma c’è da chiedersi: esistono le condizioni politiche per praticarla davvero oppure si tratta di una mossa per stanare renziani e 5 Stelle e smascherarne le intenzioni politiciste? Di sicuro, scavallare il voto in autunno potrebbe servire per rassicurare i mercati, per tenere a bada lo spread, per sterilizzare magari l’aumento dell’Iva e per gestire la legge di bilancio nei tempi adeguati e richiesti dal contesto europeo e dalla tranquillità dei cittadini. In questo, le ragioni del partitone del dilazionare-troncare-sopire sono tutt’altro che immotivate. D’altra parte però c’è il rischio che questa operazione, che vuole essere di tipo interdittivo e autoconservativo, non abbia quel respiro più ampio e quella visione di legislatura che servirebbe alla politica e al Paese in un momento così delicato sul piano interno e internazionale. C’è il pericolo, insomma, che spostare più in là l’appuntamento elettorale inevitabile possa essere più un espediente che una soluzione. E oltretutto una nuova maggioranza, al suo interno molto eterogenea, per gestire un’operazione politica davvero ambiziosa e non puramente tattica avrebbe bisogno di un Pd - che rappresenterebbe l’altro perno di questa iniziativa insieme ai 5 stelle - unito e non spaccato com’è. L’altro aspetto problematico, e di particolare importanza per quel che attiene il rapporto tra politica e società, tra Palazzo e Paese reale, è che la nuova eventuale maggioranza parlamentare sarebbe tale nelle Camere, e però - stando ai sondaggi, all’esito delle ultime elezioni Europee e ai recenti test del voto nelle varie regioni - non nel gradimento attuale degli italiani. Insomma si rischia di cristallizzare in Parlamento equilibri e peso già cambiati nel Paese. E ancora: votare non in autunno, ma sei o otto mesi dopo e non di più, ha senz’altro il nobile scopo di dare respiro finanziario al Paese, e tuttavia il rinvio è un rinvio - parafrasando la rosa di Gertrude Stein - e si tratterebbe di prolungare un’agonia, quella dell’Italia incerta e senza bussola, che necessita invece di una cura immediata. Prendere tempo - sei mesi o quello che è - potrebbe significare perdere tempo. Il che non è nell’interesse della nazione. Naturalmente il presidente Mattarella, nella sua correttezza istituzionale e nella sua neutralità patriottica, non prenderà posizione su questo progetto delle urne poi. Aspettando di vedere, nel caso, se esistono i numeri parlamentari per attuarlo.
Ed è questo anche l’atteggiamento di chi, nel Paese, non ha preclusioni di sorta e si fa la domanda decisiva: sei o otto mesi di rinvio del voto faranno scemare il consenso di Salvini? L’aspettativa del partitone trasversale è questa.
Il Messaggero