L’esercito unico/ La sicurezza europea e le tensioni con la Russia

L’esercito unico/ La sicurezza europea e le tensioni con la Russia
I timidi segnali di de-escalation delle scorse ore vanno osservati (e se possibile moltiplicati) e tutte le prospettive che possono portare al dialogo vanno esplorate. Ma la crisi...

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I timidi segnali di de-escalation delle scorse ore vanno osservati (e se possibile moltiplicati) e tutte le prospettive che possono portare al dialogo vanno esplorate. Ma la crisi ucraina è ben lungi dal suo epilogo. L’ottimismo di queste ultime trentasei ore è anche effetto del cupo pessimismo dei giorni scorsi. Un effetto di “rimbalzo”, come si direbbe in borsa. Dobbiamo mitigare ogni euforia, così come nelle settimane precedenti non disperavamo, nella convinzione che una guerra non convenisse a nessuno e non fosse il “piano A” di nessuno. Più che invertirsi, l’escalation si è (temporaneamente?) arrestata. Però questo forse consentirà a ognuno di poter trovare un proprio tornaconto (magari enfatizzandolo) e a tutti di evitare guai maggiori. Siamo in una situazione di stallo in cui – se non si forzano i toni e nell’attesa di poter verificare i fatti che stanno sotto le parole – per la prima volta si potrebbe aprire una finestra di opportunità per una più complessiva risposta alle rispettive preoccupazioni per la propria sicurezza. Perché, solo se nessuno esce completamente sconfitto, diventa ipotizzabile l’inaugurazione di un processo negoziale ampio e diverso.

Partendo da Putin, l’inquilino del Cremlino può dire di aver portato a casa parecchio. Ha usato al meglio le risorse che la superpotenza russa possiede e che sono qualitativamente limitate (materie prime e forza militare), ha mostrato che la Russia non è isolata, incassando il sostegno esplicito cinese e facendo un passo ulteriore nel percorso di avvicinamento tra Mosca e Pechino. È stata una mossa che ha concorso all’escalation della crisi (peraltro innescata deliberatamente dalla Russia con l’impiego della minaccia militare verso Kiev) ma l’allineamento tra le potenze autoritarie si è avviato quando la Cina ha fatto questa scelta, circa un decennio fa. Ha indebolito l’Ucraina e il suo presidente Zelenski (che difficilmente sarà rieletto) ed esibito i limiti dell’appoggio occidentale alla sicurezza militare di Kiev. 

Joe Biden può comunque rivendicare di aver evitato una guerra, e di aver impedito che la Russia facesse in Ucraina nel 2022 quello che ha fatto in Crimea e nel Dombass nel 2014. Ci è riuscito facendo salire il costo reputazionale dell’uso della forza da parte del Cremlino. Ha spinto gli europei a prendere posizioni ferme anche se costose, ribadendo loro che la sua amministrazione non ha scelto il Pacifico a scapito dell’Atlantico. Ai cinesi, infine, ha mandato a dire che se Washington è determinata ad assumersi simili rischi per l’Ucraina, possono togliersi dalla testa l’idea di risolvere a modo loro la questione di Taiwan.

L’Europa ha “tenuto”. Nonostante la Brexit, nonostante una Germania orfana di Angela Merkel e con una coalizione da rodare e divisa sui temi della politica estera ed energetica, nonostante una presidenza francese sotto elezione, nonostante i problemi interni con Polacchi e Ungheresi, nonostante la fame di gas, la pandemia, le prospettive di inflazione e i tentativi palesi di Putin di ignorarla, di trattare con sufficienza la Francia (presidente di turno) e blandire la Germania, l’Europa non si è disunita e non si è distanziata dalla Nato. Ma ha offerto una prospettiva articolata di tavoli su cui impostare una trattativa multilaterale non fondata sull’illusione di quella “convergenza” tanto a lungo perseguita da Mosca – ricordate lo “spazio economico eurasiatico”? – e soprattutto ha ribadito gli aspetti normativi che stanno alla base della sua visione, della sua sicurezza esistenziale e della sua stessa ragion d’essere: il rifiuto dell’uso della forza, il rispetto della sovranità e la superiorità della legge. Poi, prima inizia anche a diversificare fonti di approvvigionamento e di produzione energetica e meglio è.

L’Ucraina non è stata invasa, ha mantenuto il punto della scelta della sua collocazione internazionale e ha ribadito che un accordo per la sicurezza dei suoi ingombranti vicini (Russia, Ue e Stati-membri) non può essere conseguito a sue spese, sacrificandola sull’altare di una “nuova distensione”. Sono risultati parziali, reversibili e fragili. Ma da qui si può, e si deve, partire: per sottrarre il tema reale di una nuova architettura di sicurezza continentale alla claustrofobia artificialmente creata intorno alla questione (mai stata all’ordine del giorno) dell’adesione dell’Ucraina alla Nato.

 

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Il Messaggero