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È decisamente difficile da comprendere quali dovrebbero essere le controindicazioni del Trattato italo-francese che oggi verrà sottoscritto a Roma. Per entrambi i Paesi si tratta di un’opportunità. La Francia sta cercando un interlocutore in un’Europa “post-Merkel”. L’Italia vuole consolidare la riconquista di una centralità nel campo da gioco europeo: non nella convinzione velleitaria di poter essere la regista dell’Europa a 27, ma nella consapevolezza (condivisa dai francesi) che l’orizzonte europeo è il solo su cui è possibile stagliare il profilo nazionale.
Conviene forse partire da qui, da questa comunanza di sentimenti e prospettive italo-francesi riguardo alla Ue e al suo futuro: parliamo di giocatori di una squadra – la medesima squadra – non di atleti solisti. Nessuno, né a Parigi né a Roma, si sogna che l’Europa del futuro possa prescindere dalla Germania. Ma tanto Parigi quanto Roma sanno che l’Unione non può restare ibernata in attesa che Berlino si risvegli dal suo “lutto politico”. Quanto ci metterà il nuovo Cancelliere a trovare un “passo europeo”, capace di sintonizzare gli interessi nazionali tedeschi con quelli dell’Unione? Dobbiamo solo sperare che non gli occorra il tempo finito che è servito ad Angela Merkel.
Tanto noi quanto i francesi siamo preoccupati del rischio del ritorno a una scriteriata politica di rigorismo finanziario talebano, della possibilità che la timida ripresa che sembra alle viste venga soffocata nella culla: sarebbe la terza volta in poco più di un decennio. Entrambi guardiamo con preoccupazione all’allineamento tra Mosca e Pechino, ma vorremmo anche evitare che l’Europa finisse stritolata dalla strutturale competizione sino-americana. Nessuno di noi è però un “terzista”: siamo consapevoli che l’alleanza con gli Stati Uniti è un perno dal quale non si può prescindere. Sia Parigi sia Roma lavorano affinché le istituzioni alle quali hanno ancorato la propria politica dalla fine della Seconda guerra mondiale – la Nato e la Ue – possano evolvere per meglio adeguarsi alle sfide del presente e a quelle future. In questo siamo sinceramente multilateralisti: anche quando stipuliamo un trattato bilaterale, che non è fatto contro qualcuno, ma per consolidare un nucleo al quale ancorare una nave che affronta acque tempestose.
La Brexit, le derive autoritarie interne all’Europa, la sfida cinese e quella russa, il riscaldamento globale, le migrazioni, il consolidamento della ripresa economica sono tutti dossier che richiedono un’Europa forte e ben indirizzata. O qualcuno pensa seriamente che rilanceremo il progetto europeo con polacchi e ungheresi? Ovvero in nome di uno pseudo-multilateralismo che mette sullo stesso piano chi la Ue vuole affondarla e chi, oltre ad averla fondata, la ritiene imprescindibile.
Anni fa si discuteva, e molto, di “noccioli duri” e di “geometrie variabili” rispetto al progetto europeo. Avere abbandonato quella riflessione non ci ha portato molto lontano né ha avvicinato la risoluzione di nessun problema. Forse è proprio il caso di ricominciare a ragionare su queste cose, mettendo al sicuro ciò che abbiamo costruito con tanta fatica.
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Il Messaggero