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È stato un Consiglio europeo all’insegna dell’ottimismo quello che si è tenuto pochi giorni fa a Bruxelles, almeno per quanto concerne le prospettive economiche europee. Un ottimismo certo fondato ma che, a tratti, potrebbe risultare eccessivo. I segnali di ripresa ci sono e sono tangibili: se ne trova conferma nei dati sulla crescita economica, in quelli sull’occupazione e, soprattutto, nella fiducia di imprese e consumatori, che, secondo l’Istat, sono ai massimi addirittura dal 2018.
Tuttavia, l’ottimismo palesato diffonde anche la sensazione che la pandemia sia ormai alle spalle. Non è così. A causa di varianti del virus sempre più aggressive, a causa delle maggiori libertà concesse con la diminuzione dei contagi, a causa, infine, di una campagna vaccinale ancora lontana dall’assicurare l’immunità di gregge, la fine dell’incubo appare ancora lontana.
E vale forse la pena di ricordare che la scorsa estate, nonostante la totale assenza di vaccini, il morale non fosse molto diverso: località turistiche aperte, strade piene, esperti - o presunti tali - che già recitavano il requiem al virus.
Non si tratta certo di fare i cosiddetti gufi o, più classicamente, le cassandre. Ognuno di noi non vede l’ora di lasciarsi alle spalle questo lungo e triste periodo.
Ma è evidente che sarà settembre il vero banco di prova delle politiche europee, sia per quelle economiche sia per quelle sanitarie. È dunque necessario arrivare all’autunno con una certa dose di realismo, perché alcune restrizioni saranno ancora necessarie, e più preparati dell’anno scorso.
In particolare, sarà bene cominciare a pianificare una strategia per minimizzare le chiusure scolastiche.
Si tratta di una comunicazione che crea, nel migliore dei casi, grande confusione e invece, nel peggiore, parecchia rabbia e frustrazione. Pianificare la riapertura scolastica significa inoltre occuparsi di logistica: i mezzi di trasporto devono essere sufficienti e adeguati. Su questo, almeno nelle grandi città, non sembrano essere stati fatti grandi passi in avanti. Sarebbe invece bello che la campagna elettorale per Roma, ora che i candidati in campo sono finalmente noti, si concentri anche su questo.
A livello governativo serve poi una profonda riflessione sulle politiche di chiusura di alcune attività economiche: non è mai stato sufficientemente chiaro, per esempio, il criterio per cui alcuni settori hanno sempre lavorato e altri invece mai, nonostante il rispetto dei protocolli. Certo, la speranza è che questi protocolli spariscano, grazie all’impatto dei vaccini. Ma in politica è meglio ragionare sullo scenario peggiore.
Purtroppo, a livello elettorale, paga di più vendere facili speranze, soprattutto quando permangono paure diffuse nella società. Infine, sarebbe utile cominciare a definire tempi, modi e priorità di una eventuale massiccia e rapida campagna vaccinale autunnale, che possa beneficiare degli insegnamenti, positivi e negativi, ricevuti finora.
Nonostante i segnali positivi, quindi, non si può ancora affermare che l’Europa sia stata promossa all’esame del Covid. Sottovalutare i rischi di un ritorno aggressivo della pandemia e sopravvalutare invece le risposte date fino a questo momento potrebbe portare ad almeno due grandi pericoli.
Il primo, che colpisce in particolare - ma non solo - l’Italia, è quello di restare soffocati da debiti pubblici troppo elevati nei prossimi anni. È un pericolo che si combatte in due modi. Da un lato, realizzando gli investimenti giusti e utili alla crescita economica ed evitando la tentazione di sperperare in spese elettorali la dote del Recovery fund. Dall’altro, riformando il Patto di stabilità e crescita europeo per permettere anche in futuro politiche fiscali almeno selettivamente espansive (ad esempio, escludendo gli investimenti dal calcolo dei saldi di bilancio).
Il secondo pericolo è però il peggiore: quello cioè di farsi trovare impreparati all’esame di settembre, quando i nuovi assembramenti, il previsto ritorno alla normalità insieme all’abbassamento delle temperature metteranno alla prova le ricette europee. Una bocciatura potrebbe essere fatale: sia per l’economia sia per la coesione dell’Unione Europea stessa.
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Il Messaggero