In queste settimane il Mezzogiorno sta tornando e deve sempre più tornare ad assumere un’importanza fondamentale nella discussione pubblica italiana. Non è...
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Ma anche perché riguarda un Paese che viene da venti anni di crescita stentata, di ampliamento delle disparità. Di ricostruzione. Sono queste considerazioni che hanno spinto un gruppo di docenti ed esperti, di varia provenienza geografica e disciplinare, a proporre il documento “Ricostruire l’Italia. Con il Sud”, che questo giornale pubblica nelle sue pagine interne. Come si capisce sin dal titolo, la proposta è quella di disegnare un Piano in cui finalmente anche i territori più deboli del Paese, il Mezzogiorno e le aree periferiche, interne, marginalizzate, possano contribuire al rilancio. Mettendo a valore, nell’interesse nazionale, le proprie risorse: innanzitutto giovani e donne. Non è una scelta banale, ma un indirizzo politico fondamentale; di cui per fortuna comincia ad esserci traccia nelle intenzioni di non pochi responsabili politici e di governo, come questo giornale ha documentato nei giorni scorsi. Per questo sono necessari alcuni prerequisiti finanziari: destinare al Sud almeno il 34% dei fondi del Next Generation, ma anche indirizzare diversamente dal passato i fondi strutturali e il Fondo Sviluppo e Coesione di cui lo stesso Sud godrà: non usarli su mille progetti, ma rafforzare e prolungare nel tempo le scelte di investimento del Piano di Rilancio. Scelte di investimento: proprio quello che per molti versi è mancato negli ultimi venti anni. Scelte che guardano più lontano nel tempo di quanto ci siamo abituati a fare; che creano condizioni migliori per la vita dei cittadini e la competitività delle imprese; che pongono i presupposti per un aumento, indispensabile, dell’occupazione. Investimenti pubblici, infrastrutture; ma, insieme, anche investimenti sulle persone, servizi che aumentano il valore del nuovo capitale pubblico che si creerà. Queste scelte vanno concentrate, secondo i promotori del documento, in alcuni ambiti prioritari.
Creare le indispensabili reti di servizi socio-sanitari territori: e grazie ad esse, anche con un ruolo centrale del Terzo settore, garantire lavoro e servizi di cittadinanza. Rimettere in sesto fisicamente le nostre scuole, mura, aule, connessioni digitali; ma anche consentire loro di porsi progressivamente al centro di “comunità educanti”, di recuperare i gravissimi danni del Covid sugli studenti più deboli, ma anche quella della dispersione, e di lavorare con gli adulti. Aprire nuovi asili nido, ma con programmi che consentano alle donne, specie di estrazione sociale più debole, di utilizzarli subito per il bene dei figli e per accrescere le proprie possibilità di impiego. Costruire nuovi binari, ma anche attivare servizi di trasporto, specie nelle aree interne e al Sud, da subito migliori: con più connessioni, e di migliore qualità; e tanta innovazione nella mobilità. Investire nei centri storici, per i patrimoni immobiliari, gli spazi comuni, una nuova mobilità urbana: ma contemporaneamente ad azioni per rilanciare il piccolo commercio, l’attrattività dei luoghi. Per questo serve un fortissimo indirizzo politico e una grande capacità tecnica nazionale. Chiare priorità. Chiari obiettivi da raggiungere: numeri, fatti, di cui dare conto ai nostri partner europei. Anche condivisi con le Regioni, ma attraverso politiche di intervento nazionali ben definite; da adattare ai contesti locali, ma da non riscrivere ogni volta.
E soprattutto con un ruolo molto forte per i Sindaci: vicini ai cittadini, capaci di cogliere le opportunità che ciascun luogo esprime, in grado di realizzare presto e bene interventi anche piccoli ma che si inquadrano in un disegno generale, nazionale.
Il Messaggero