Riforme urgenti/ L’Ue rallentata dal sistema del voto unanime

Riforme urgenti/ L’Ue rallentata dal sistema del voto unanime
La Storia, sì quella con la S maiuscola, quella che avanza con le guerre e cambia gli scenari del mondo, si è rimessa in movimento. E corre...

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La Storia, sì quella con la S maiuscola, quella che avanza con le guerre e cambia gli scenari del mondo, si è rimessa in movimento. E corre veloce. L’Europa invece è lenta. Eppure è chiaro che anche ciò che consideriamo acquisito può improvvisamente venire meno. Pace e democrazia sono di nuovo sotto attacco. Le bombe attraversano il cuore dell’Europa, sorvolando persino la Polonia, e più d’uno torna a evocare il rischio di guerra mondiale. Intendiamoci: non che le classi dirigenti del Vecchio Continente non se ne stiano accorgendo. Al contrario, l’urgenza di un cambio di passo è ormai al centro di ogni discussione. Ma c’è un ma: le procedure che finora regolano le loro decisioni non riescono a far fronte al vorticoso ritmo degli eventi. Tutti lamentano l’assenza di comuni assetti di difesa (e la latitanza di una sola politica estera) ma finora alle parole, pure importanti, non seguono gli atti. Di Consiglio in Consiglio prevalgono sempre i rinvii.

Il motivo è semplice: la regola del voto all’unanimità (che regala il potere di veto a ogni Stato) paralizza l’Unione. Da tempo il problema di una sua riforma è sul tavolo: ma, appunto, solo sul tavolo. Ora, ovviamente, tutti aspettano le elezioni di giugno. E poi seguiranno cinque o sei mesi di assestamento politico e burocratico. Ma abbiamo tutto questo tempo? Nel frattempo quanto ancora resisterà l’Ucraina senza armi adeguate e quali saranno state le evoluzioni del conflitto in Medio Oriente? Attenzione: per superare l’impasse non ci sarebbe bisogno di sottoscrivere un nuovo Trattato. Già l’attuale consente ad un minimo di Stati (nove) di dar vita, su specifiche “issues”, ad una “cooperazione rafforzata” quando appaia evidente che, altrimenti, prevarrebbe la paralisi. Esiste un minimo di nove Stati d’accordo nel procedere verso un esercito comune? In tal caso si forzi la mano dei Paesi riluttanti. Se invece le divisioni attraversano anche i principali partner dell’Unione (Francia e Germania tanto per dire) allora vuol dire che la Storia ci coglierà ancora una volta impreparati. 

Il fatto è che non è solo l’Europa ad aver bisogno dell’Europa. E’ l’intera geopolitica mondiale a pretenderne un nuovo ruolo. La confrontation tra Usa, Russia e Cina, infatti, senza di noi, è di fatto già squilibrata. Del resto lo stesso concetto di Occidente si basa su due gambe (l’americana e l’europea) e sarà sempre più difficile difenderlo se anche l’Unione europea non diventerà protagonista della politica mondiale. Da questo punto di vista è stato improvvido da parte di Macron annunciare l’invio di truppe in Ucraina, ma nello stesso tempo è stato ingenuo da parte di tanti altri escluderlo a priori. Confusioni strategiche. Non a caso Putin ci ha individuato come l’anello debole e fa di tutto per dividerci, in primo luogo dall’Ucraina, e poi anche tra di noi foraggiando movimenti antieuropeisti e sostanzialmente filorussi. Se poi negli Usa prevalesse di nuovo l’isolazionismo di Trump, il nostro futuro si farebbe davvero assai incerto.

In sostanza, ancora una volta, come già in passato, il destino del mondo coincide con il destino dell’Europa. Per secoli noi europei abbiamo messo in scena una lancinante contraddizione: essere i portatori della più potente cultura universale della libertà e, nello stesso tempo, gli alfieri di un’interminabile teoria di sanguinose guerre fratricide, di religione e di conquista. Una sorta di Centauro, divisi a metà tra Bene e Male. Fino a che, nel Novecento il delirio dei totalitarismi (tutti di genesi europea) non condusse l’intero pianeta nel baratro dell’Olocausto e della Seconda guerra mondiale. Ci siamo lentamente riabilitati agli occhi del mondo. E siamo arrivati infine a realizzare il sogno dell’Unione. Ma esso è ancora a metà strada: gli Stati Uniti d’Europa sono ben lontani dal nascere. Ma quale occasione migliore per accelerare tale orizzonte se non questi primi decenni del XXI secolo, ora che la Storia si è rimessa in movimento? Non ci si illuda: i nazionalismi non sono stati del tutto debellati e covano ancora nel sottosuolo delle nostre terre. Perciò, proprio in questo momento, le classi dirigenti europee, consapevoli della complessa storia del continente, devono mostrarsi capaci di forgiare davvero il destino immaginato dai nostri Padri Fondatori. In tempi nei quali tornano a soffiare venti di guerra deve tornare a imporsi anche il duro linguaggio della verità. Verità verso la pigrizia dei cittadini e verso la lentezza delle leadership. E la verità è una sola: che la Storia non ci aspetterà ancora a lungo.

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Il Messaggero