La riforma del Patto e l’esigenza di equità nella Ue

La riforma del Patto e l’esigenza di equità nella Ue
Non può rivivere l’ora sospeso Patto di stabilità, nella sua struttura previgente: un Accordo diffusamente criticato e accusato finanche di stupidità....

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Non può rivivere l’ora sospeso Patto di stabilità, nella sua struttura previgente: un Accordo diffusamente criticato e accusato finanche di stupidità. Significherebbe ritornare a un cieco rigorismo, frutto di una diversa stagione, che accentuerebbe i danni sinora arrecati alle politiche economiche e di finanza pubblica almeno di una parte dei partner dell’Unione. Ma neppure si può passare a un nuovo Patto che mantenga, sotto mentite spoglie, l’impostazione che, invece, la ragione vuole si debba superare. Non si può continuare a stare tra Scilla, il vecchio Patto, e Cariddi, il nuovo che fosse solo limitatamente modificato. 


La proposta della Commissione Ue, che si basa sulla flessibilità rendendo possibile un percorso verso i parametri di deficit e debito fissati dal Patto entro un periodo di quattro anni estensibili a sette, sulla base di una sorta di “negoziato” tra il singolo Paese e la stessa Commissione, costituisce certamente un passo avanti, ma ha il difetto di basarsi sulla discrezionalità decisionale di Bruxelles, con la conseguenza che potranno sicuramente trarne vantaggio i Paesi che sono più forti, con una migliore situazione economica e della finanza pubblica. 
Si pone, altresì, il problema, per un altro verso, della certezza e stabilità delle regole che altri partner ritengono necessarie. La proposta alternativa discussa nell’ultima riunione dell’Ecofin che, quanto al rapporto deficit-Pil, prevede la riduzione dell’1 per cento annuale, mentre appare un po’ meno pesante per il debito, sarebbe comunque un colpo per la politica economica di alcuni Paesi, fra i quali l’Italia. Alla fin fine, per quanto paradossale, non è infondata, se la consideriamo una reazione istintiva, quella del ministro Giorgetti che, a fronte di quest’ultima proposta, ha detto che allora sarebbe preferibile tornare al vecchio Patto. 


Mentre cresce l’esigenza, in un difficile contesto geopolitico, di rispondere a sfide europee comuni, a cominciare dalla difesa per passare alle transizioni energetica e tecnologica regolate da normative e impegni europei, mentre si assiste a conversioni sulla strada di Damasco di personaggi che ritengono imprescindibili politiche comuni a sostegno della manifattura in particolare, dopo avere in precedenza predicato un visione opposta, non si può non ritenere necessario che per queste sfide vi siano impegni finanziari fondati su di un debito europeo comune. 
Negare, poi, come sta avvenendo da parte dei Paesi cosiddetti frugali, che la partecipazione dei singoli Stati al debito in questione per poter varare i programmi d’intervento nei predetti settori sia sottratta al vincolo del pareggio di bilancio, dunque ai parametri del Patto, è una contraddizione evidente.

Se viene esclusa una generale “golden rule”, la sottrazione cioè degli investimenti pubblici dal vincolo suddetto, una selezione di questi ultimi per l’esclusione in relazione all’origine europea apparirebbe doverosa, così come lo sarebbero clausole di salvaguardia per situazioni non ordinarie. Non si può dare con una mano ciò che prontamente si toglie con l’altra. 


Né si può, da parte di alcuni Stati, in particolare dalla Germania, apparire permissivi in materia di deroghe alla normativa comunitaria sugli aiuti di Stato perché hanno disponibilità per il sostegno delle rispettive economie e mostrarsi rigoristi per un riforma realistica e ragionevole del Patto. Per questa, quanto prima, sarebbe auspicabile si convergesse con riferimento ai pilastri delle innovazioni da introdurre, prevedendo altresì, ai fini applicativi, una fase transitoria per la prima parte dell’anno prossimo. Si va incontro in questi giorni a impegni importanti, mentre pesano i due conflitti in corso e tarda ad aprirsi la strada verso, almeno, la loro sospensione. 


L’Italia affronta la sessione di bilancio e, frattanto, si attende, dopo il favorevole pronunciamento sul debito di tre agenzie di rating, il giudizio di Moody’s caricato, però, in questi giorni di un’eccessiva tensione di attesa. Non si può dimenticare che le valutazioni delle agenzie sono pur sempre, a loro volta, valutabili e criticabili, come avviene, per esempio, negli Usa. Riuscire a conseguire, a livello europeo, segnali seri e fondati di una pur possibile svolta accettabile nella revisione del Patto costituirebbe un fattore positivo per l’intera Unione Europea. In questo quadro, ma con la priorità del Patto, andrebbe pur valutata la questione-Mes. Insomma, non siamo alla “spes contra spem”. E deve, nonostante tutto, permanere l’ottimismo della ragione. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero