I rifiuti a Roma/ I preconcetti che ostacolano il percorso di modernità

I rifiuti a Roma/ I preconcetti che ostacolano il percorso di modernità
La letteratura scientifica unanime li considera sicuri per la tutela degli ecosistemi e la salute umana, tutte le classifiche internazionali sulle green city pongono ai vertici le...

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La letteratura scientifica unanime li considera sicuri per la tutela degli ecosistemi e la salute umana, tutte le classifiche internazionali sulle green city pongono ai vertici le città che ne hanno (almeno) uno, l’Environmental Protection Agency Usa (riferimento mondiale delle politiche a protezione dell’ambiente) ne agevola la costruzione, sia in realtà ad alta densità abitativa, sia nei territori rurali. In Italia, invece, appena si propone di risolvere un’emergenza scandalosa come quella dei rifiuti in una delle città più visitate del mondo attraverso un termovalorizzatore, ossia un impianto che contemporaneamente smaltisce rifiuti e crea energia, emergono difficoltà.

 

Prese di posizione negative e preconcette e - sperando che ciò non avvenga nel caso di Roma - conseguenti lungaggini burocratiche che portano di sovente alla loro mancata installazione. Non abbiamo sufficienti notizie tecniche per approfondire il progetto annunciato dal sindaco Gualtieri. Siamo però felicemente colpiti dalla scelta, che speriamo possa portare ad un nuovo paradigma di politiche ambientali nel nostro Paese. Con la consapevolezza che vi sono due ostacoli da affrontare quanto prima. Innanzitutto, va superata la ritrosia culturale della cittadinanza, che emerge spesso in movimenti avversi alla individuazione dei siti, con manifestazioni di massa a livello locale o nazionale e ricorsi ai tribunali che spesso rallentano immotivatamente le pratiche autorizzatorie. Per evitare tale impedimento è necessario che le scelte logistiche siano realmente valide e condivise. 

 

Ci sono esempi virtuosi anche in Italia dove istituzioni locali, imprese e cittadini hanno lavorato insieme per il bene del territorio, proprio avendo al centro dello sviluppo un termovalorizzatore (come a San Vittore nel Lazio). Tuttavia, l’ostacolo maggiore alla sostenibilità della filiera dei rifiuti nel nostro Paese è lo stesso diritto ambientale, o meglio, l’interpretazione prevalente del diritto ambientale europeo e nazionale. Nei vari provvedimenti della Ue (che ha la competenza concorrente e quindi prevalente sulle politiche ambientali degli Stati membri) si parla di una gerarchia della gestione dei rifiuti fondata sul loro riciclaggio e riuso al fine di rendere il sistema economico “circolare” ed ecocompatibile. In tale logica il loro incenerimento sarebbe considerato in contrasto con il diritto europeo e con i principi della bioeconomia. Da qui la conseguenza che nel Pnrr non sono previsti finanziamenti per i termovalorizzatori, le Regioni nei loro piani di gestione dei rifiuti non li prevedono e il Codice ambientale italiano dispone una procedura autorizzatoria assai complessa e farraginosa per la loro attuazione, trattando allo stesso modo varie tipologie di impianti con caratteristiche assai diverse tra loro non comparabili sotto il profilo tecnologico e di impatto per la salute e gli ecosistemi. 

 


Una interpretazione del diritto ambientale europeo così rigida è tipica solo dei giuristi e delle amministrazioni italiane, tant’è che in tutti gli altri Paesi già da decenni sono in funzione termovalorizzatori che peraltro accolgono (a caro prezzo) anche i nostri rifiuti. Probabilmente (almeno ci auguriamo) il sindaco Gualtieri riuscirà con normative emergenziali (si parla di utilizzare i poteri derogatori per l’Expo 2030) a scavalcare tutti questi ostacoli e portare a termine il progetto. Ma esistono interi territori che necessitano urgentemente di una filiera dei rifiuti efficiente, non fondata su desideri utopici di zero waste (rifiuti zero), che necessiterebbero di un adeguamento immediato della normativa ambientale nazionale e regionale. A meno che non si voglia affrontare il futuro come l’Angelus Novus del quadro di Paul Klee, egregiamente descritto da Walter Benjamin nella sua Tesi sulla filosofia della storia: ossia con il volto e lo sguardo all’indietro, vedendo solo le macerie che cadono ai nostri piedi. Non resteremo tra i primi otto Paesi più ricchi del mondo con gli occhi rivolti alla memoria del passato e le ali aperte, trascinati da un vento tempestoso e inarrestabile verso un nuovo mondo che ci spaventa.

 

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Il Messaggero