Sostegni mancati / Le mosse di Putin e il momento della fermezza

Sostegni mancati / Le mosse di Putin e il momento della fermezza
Difficile pensare che Putin si illudesse di poter ottenere chissà quale sostegno al vertice di Samarcanda della settimana scorsa. ...

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Difficile pensare che Putin si illudesse di poter ottenere chissà quale sostegno al vertice di Samarcanda della settimana scorsa.


L’uomo è privo di scrupoli ma non è uno sciocco, sa bene che piove sempre sul bagnato. Arrivare sulle ali della cocente sconfitta patita dalla Russia sul fronte settentrionale della guerra ucraina rappresentava evidentemente un pessimo viatico, tanto più di fronte a leader, come lui, propensi più al cinismo che alle petizioni di principio. La Cina non lo ha scaricato – non poteva farlo, del resto – ma ha anche escluso ogni coinvolgimento diretto o indiretto alla guerra di Putin in Ucraina. Nessuno del resto ama i perdenti.
E Putin in Ucraina sta perdendo e deve trovare rapidamente una via d’uscita: consapevole che la minaccia di un’escalation nucleare del conflitto non è credibile, non lo è mai stata e meno che meno lo è ora. Sul piano materiale la Russia ha scorte limitate dei mezzi che servono a una guerra di movimento e tecnologicamente avanzata, giocata su più “domini”, oltretutto la scarsità è amplificata dall’imperizia e dalla rigidità con cui i materiali vengono impiegati. Ha un bel mostrare le navi della flotta del Pacifico che manovrano con quelle cinesi. Per sconfiggere gli ucraini non servono a nulla. E sul piano del personale, il Cremlino deve ricorrere ai mercenari della Wagner, ai tagliagole ceceni e ai detenuti dei “battaglioni di disciplina” per rimpiazzare le enormi perdite subite. Sarebbe d’altronde estremamente difficile giustificare una mobilitazione generale nell’ambito di una “operazione militare speciale” e dover quindi ammettere che la piccola Ucraina sta minacciando la sicurezza della sconfinata Russia dagli undici fusi orari…
Come ho scritto proprio sulle colonne di questo giornale all’inizio della scellerata guerra di Putin, la guerra di Ucraina finirà con l’essere per lui l’equivalente di ciò che la campagna di Grecia costituì per Mussolini: l’inizio della fine. Dopo che aveva invaso baldanzosamente l’Albania nel 1939, Mussolini si convinse, nell’ottobre del 1940, che avrebbe “spezzato le reni” alla Grecia in qualche settimana. Il disastro d’Albania, con gli Alpini che tornavano morti e congelati a decine di migliaia, segnò l’inizio della fine della fiducia degli italiani nella retorica bellicista del regime. Ci vollero quasi tre anni, ma quando il 25 luglio 1943 Mussolini venne deposto dai suoi sodali e fatto arrestare dal re, nessuno in Italia mosse un dito in suo favore. Non sappiamo ancora chi, quando e come allontanerà Vladimir Putin dal Cremlino, ma è incredibile che possa passare indenne una simile debacle. E se a Mussolini venne in soccorso Hitler in Grecia nel 1941 e poi in Italia dopo l’8 Settembre ’43 – Xi ha già chiarito che non farà la stessa mossa.
L’obiettivo di scalzare l’Occidente dalla sua posizione rimane comune a Xi e a Putin, così come quella di disegnare un ordine internazionale senza l’impiccio della democrazia, dei diritti e del dissenso. Ma la sconfitta della Russia in Ucraina spingerebbe anche Pechino a riconsiderare le modalità con cui rivendicare una pari dignità e non una impossibile primazia. E quindi, anche in termini globali, sconfiggerlo è necessario.

Questo significa che la guerra è già vinta e che è ora di cercare una tregua d’armi? Tutt’altro. Come ha ribadito Ursula von der Leyen, questo è il momento della fermezza. Guai a mostrare cedevolezza ora. Quando la Russia accetterà di ritirarsi e di rifondere i danni enormi inflitti alla nazione ucraina, allora sì, da quel momento in poi dovremo mostrare magnanimità e lungimiranza. Ma fin tanto che Mosca prosegue nell’aggressione – e si vendica vigliaccamente e sfoga la sua frustrazione distruggendo dighe e infrastrutture e massacrando civili inermi – bisogna compattamente sostenere un popolo che si è fatto esercito. Per difendere la loro e la nostra indipendenza, la loro e la nostra democrazia, che altrimenti saranno alla mercè del prossimo Putin o del prossimo Xi. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero