Quelle due infrastrutture strategiche per il futuro del Centro (e dell’Europa)

Quelle due infrastrutture strategiche per il futuro del Centro (e dell’Europa)
La notizia di queste ore è che, contrariamente a quanto deciso, dai lavori del Pnrr potrebbero essere esclusi quelli per l’Alta Velocità Roma-Pescara e che...

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La notizia di queste ore è che, contrariamente a quanto deciso, dai lavori del Pnrr potrebbero essere esclusi quelli per l’Alta Velocità Roma-Pescara e che alla stessa sorte sta andando incontro il raddoppio e la sostanziale velocizzazione della tratta Orte-Falconara. Da queste colonne, da più di un anno e per mesi, si è lavorato per aiutare la opinione pubblica nazionale ed il governo a riconoscere l’esistenza di una Questione Italia Centrale (QIC). I riscontri sociali, economici, culturali, scientifici e persino politici non erano mancati. Le vicende geopolitiche di questi ultimi due anni, con i loro enormi ed immediati risvolti economici, si erano incaricate di dare un sovrappiù di evidenza alla QIC. I dati (demografici, sociali, economici) provenienti dal quadrilatero Lucca-Pesaro-Pescara-Roma avevano conferito ulteriore urgenza alla decisione di spostare la questione Italia centrale verso l’alto della agenda politica nazionale e di quella della Ue, verso la zona delle assolute priorità.


Il punto è semplice, brutale. Tra l’Europa latina e quella balcanica vogliamo un muro invalicabile o un ponte? Tra il Nord ed il Sud Italia vogliamo un deserto o un canale navigabile e navigato? Tra l’Europa centro-occidentale ed il Mediterraneo vogliamo un fossato o una strada maestra? Detto altrimenti: fino a dove vogliamo far arretrare il confine reale del lato sud della Unione Europea: accettiamo che la Ue si arrocchi sulla linea del Po? I muri, i deserti, gli abissi, i confini sociali cioè le barriere alla crescita, non si cancellano se non innanzitutto a colpi di infrastrutture. Le notizie di queste ore sono pessime perché parlano di una o forse due infrastrutture che rischiano di saltare e saltando costituirebbero l’equivalente di una sentenza durissima ed ingiustificabile a carico dell’Italia Centrale, delle sue città e delle persone che vi vivono. E di una sentenza non meno dura sulle possibilità di ripresa del Mezzogiorno e di virtuosa espansione del Nord del nostro Paese.
In questo caso i numeri davvero quasi parlano da soli. Le due direttrici a rischio (Roma-Pescara e Orte-Falconara) attraversano direttamente almeno 17 Sistemi Locali del Lavoro ricostruiti dall’Istat (senza contare quelli limitrofi), per un totale un milione ed ottocentomila residenti cui vanno aggiunti ovviamente i quasi tre milioni e ottocentomila di coloro che risiedono nel Sistema Locale del Lavoro di Roma. In totale quasi un italiano su dieci. Forse il problema è cominciato quando non si è capito che questa volta dall’Italia Centrale non veniva una richiesta campanilistica o “di bandiera”, né un grido prodotto da una calamità naturale. Questa volta si trattava si una proposta di valore strategica per il Paese e per la Ue.


Ci fosse ancora una possibilità, converrebbe fare l’impossibile per coglierla. Come si scrisse sin dall’inizio su queste colonne, serve urgentissimamente un punto nel quale le città dell’Italia Centrale e il governo nazionale, con l’assistenza funzionale delle amministrazione regionali, affrontino la Questione Italia Centrale, questione che sta pericolosamente aggravandosi. O forse è stato deciso che questa parte d’Italia deve rassegnarsi ad un futuro di area interna dismessa ed abbandonata? Deve acconciarsi ad un futuro da muro (da evitare), deserto (da cui tenersi alla larga), abisso (da evitare) invece che di un futuro da ponte, canale e strada maestra.
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Il Messaggero