Patto di stabilità / La via stretta per conciliare le regole Ue con le riforme

Patto di stabilità / La via stretta per conciliare le regole Ue con le riforme
Nei loro lunghi e cordiali incontri siciliani, il nostro Presidente della Repubblica e il suo collega tedesco Steinmeier hanno opportunamente trattato il tema delle riforme delle...

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Nei loro lunghi e cordiali incontri siciliani, il nostro Presidente della Repubblica e il suo collega tedesco Steinmeier hanno opportunamente trattato il tema delle riforme delle regole fiscali europee, tema su cui Germania e Italia sono, anche se per diverse ragioni, particolarmente interessate a trovare un accordo. 


Il presidente Mattarella, nel sottolineare l’importanza di questo possibile accordo, ha però sostenuto che esso non può essere «ottuso e cieco» nei confronti dell’Italia e della stessa Europa, che si trovano ad operare in un quadro internazionale reso più difficile da una serie di eventi come il rallentamento dell’economia cinese, la guerra in Ucraina e la necessità di rallentare il processo inflazionistico. Il tutto reso ancora più complesso dalla necessità di affrontare sfide fondamentali come la transizione ecologica e digitale. 
La Commissione Europea è già entrata in sintonia con questi obiettivi, proponendo di eliminare le regole automatiche che prescrivono un tetto massimo del 3% al deficit annuale dei bilanci pubblici e obbligano a fare scendere al 60% il rapporto fra il debito totale e il Pil di ogni Paese, con una regola uguale per tutti e in ogni circostanza. Una regola che io stesso fui obbligato a definire “stupida”, per la semplice ragione che il bilancio pubblico deve tenere conto della situazione reale dell’economia, tollerando un deficit maggiore in una situazione di recessione e obbligando invece a comportamenti più rigorosi quando le cose vanno meglio.
La Commissione ha perciò proposto norme più flessibili, in modo da adattarle al contesto di ciascun Paese. In particolare, riguardo al debito, non si dovrebbe indicare un obiettivo uguale per tutti (il famigerato 60% del Pil), prendendo atto che, anche per i mercati internazionali, non è determinante il livello assoluto del debito, ma la sua dinamica. Se essa è discendente, anche se in misura modesta, questo è sufficiente per dare una garanzia di sostenibilità al bilancio pubblico nel presente e negli anni futuri. 
La proposta prevede quindi che ogni governo nazionale concordi con la Commissione un piano fiscale compatibile con questo obiettivo, ma con un orizzonte di lungo periodo, variabile dai 4 ai 7 anni. Viene naturalmente previsto che quest’accordo non possa essere mutato per tutto il periodo della sua durata. 
Ovviamente non tutti appoggiano questa proposta di maggiore flessibilità, a cominciare proprio dal ministro delle Finanze tedesco Lindner, incline a mantenere una linea di rigore, in continuità con le regole esistenti.
L’accordo, che deve essere concluso entro la fine dell’anno, non si presenta quindi facile, anche se per noi è indispensabile, dato che la Banca Centrale Europea non acquista più titoli di Stato dei Paesi appartenenti all’area euro, se non a condizioni del tutto particolari e in un quadro di regole fiscali concordate e di comportamenti controllati dalle autorità europee.
Il monito di Mattarella che l’accordo non deve essere «ottuso e cieco» è quindi rivolto anche all’Italia che, da un lato, ha il buon diritto di esigere nuove regole ma, dall’altro, è ancora maggiormente obbligata a rispettarle. E, qualsiasi sia la riforma del patto di stabilità, questo non è un traguardo facile. 
Anche l’obiettivo del pur notevole disavanzo previsto per quest’anno è stato recentemente rivisto al rialzo, dato il rallentamento della crescita e le maggiori spese. Il rapporto debito/Pil dovrebbe comunque calare leggermente, ma solo perché l’elevata inflazione fa salire il Pil nominale, mentre lascia invariato il debito. La situazione sarà più difficile il prossimo anno quando l’inflazione scenderà e la crescita, secondo tutte le previsioni, sarà invece ancora minore. In queste circostanze evitare l’aumento del debito sarà molto difficile. I mercati ne stanno prendendo atto e quindi, anche se con cautela, si stanno riposizionando. Dall’inizio di settembre lo “spread,” cioè la differenza del tasso di rendimento dei Btp e degli analoghi titoli del debito tedesco, ha continuato a crescere e si colloca a un livello superiore rispetto al debito spagnolo. 
Lo schierarci verso una maggiore flessibilità ed una sostenibilità fiscale per un lungo periodo di tempo ci obbliga quindi ad operare nella direzione delle ormai ben note riforme necessarie alla crescita. Nello stesso tempo siamo tenuti non solo a lottare contro l’evasione fiscale, ma a riprendere in mano la ben nota “spending review,” riesaminando le infinite agevolazioni, deduzioni e detrazioni che rendono ingestibile il nostro bilancio pubblico.
E’ evidente però che non possiamo giocare solo in difesa e dobbiamo quindi accompagnare la necessaria stabilità (o la leggera discesa) del debito pubblico con il sostegno agli investimenti e all’innovazione. 

Da qui la richiesta del ministro Giorgetti di scorporare gli investimenti del Pnrr dal disavanzo concesso dalle regole europee. Sarebbe infatti paradossale porci in contrasto con le regole fiscali europee perché mettiamo in atto gli investimenti che siamo obbligati a realizzare proprio in conseguenza delle disposizioni del Pnrr europeo. Qui arriva però un’altra nota dolente: è difficile, infatti, argomentare che abbiamo bisogno di flessibilità di bilancio per sostenere gli investimenti se non siamo in grado di portarli a buon fine anche quando le risorse sono fornite proprio dal Pnrr europeo.
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Il Messaggero