OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Non è censura, è cultura. Non è oscurantismo, è rispetto per la scienza. Il fatto è questo: Facebook ha rimosso, perché «fanno disinformazione», le pagine di alcune associazioni no vax. Ha deciso di intervenire contro le fandonie di quelli del “dalli al medico, all’epidemiologo e a chi li manovra e trama con i vaccini!”. Pur mantenendo saldo il principio della libertà di pensiero, non bisogna esagerare. Specie in una fase così delicata, in cui è in gioco la vita di tutti e il vaccino è l’unico rimedio possibile.
A livello pop, si scherza, si minimizza, si confondono sciaguratamente, in nome del disprezzo della sapienza e di un senso di inferiorità generalizzato e demagogico nei confronti della competenza, le gerarchie culturali tra gli argomenti scientificamente fondati e quelli prodotti e diffusi dalla ciarlataneria più andante. Che trova purtroppo nei social terreno di coltura e arma di diffusione e di distrazione di massa.
E dunque i virologi, ma non solo loro, fanno bene a plaudire alla scelta di Facebook. Subito contestata da Comilva, l’associazione per la libertà vaccinale, pronta a querelare il social network. Lo stesso su cui sono piovute offese e minacce nei giorni scorsi contro l’infermiera dello Spallanzani che per prima si è vaccinata e ora, per difendersi dagli haters, si è cancellata dai social.
In Italia sono state imposte per legge le vaccinazioni contro il vaiolo (1888), la difterite (1939), la polio (1968). Adesso invece, con una campagna vaccinale che stenta a prendere il largo, non s’è scelto il metodo dell’obbligo vaccinale ma quello della persuasione graduale e paziente (ma la pazienza ha un limite) nei confronti di quel venti per cento di italiani che, stando a un sondaggio nazionale di dicembre, non vuole fare il vaccino e di quel 40 per cento che vuole farlo ma non subito, per vedere l’effetto che fa. Se alla rinuncia precipitosa e non rispondente alla gravità dell’attacco virale si aggiunge l’estrema tolleranza - per paura di passare per uno Stato forte quando invece proprio questo serve ora - verso gli spropositi antiscientifici, si produce un indebolimento rischioso nella lotta al Covid. Puntare sul «convincimento di massa» in favore dei vaccini, come lo chiamano Conte e Speranza, e non rintuzzare con rigore le posizioni che ammiccano o sostengono il delirio no vax significa lasciare campo libero e non salvaguardare gli interessi sanitari, economici e sociali degli italiani che devono contare su uno Stato capace di difenderli anche dalle falsità e dalle cattive credenze. Come quelle circolanti sui social e del tipo: «Già di veleni ne mangiamo tanti, farceli anche inoculare no e poi no».
La reazione di Facebook, non censura ma buon senso, deve valere insomma come stimolo al nostro governo a prendere sul serio la battaglia culturale in corso e a combatterla senza timidezze e furberie populiste. Manca il salto di qualità che impegni la politica - oltre che nell’efficienza della battaglia sui vaccini, che arrivano tardi, vengono fatti con lentezza e tra troppe diseguaglianze tra regione e regione e anche in questo la Lombardia è una riprova di un’eccellenza che non esiste - in una lotta culturale visibilissima, per dire con chiarezza che il vaccino è l’antidoto necessario. E per farne tanti, bene e subito: così da dare una lezione agli avversari.
Meno c’è chiarezza su questo e più si genera quel caos che i cittadini già avvertono e che favorisce l’incunearsi e il diffondersi delle posizioni più irresponsabili, e poco patriottiche, di diffidenza nei confronti del rimedio anti-virale trovato a tempo di record. Ogni fiancheggiamento - sia pure spacciato per rispetto delle idee di tutti - alla cultura irrazionalista non è esempio di democrazia ma di arrendevolezza. E così non va.
Il Messaggero