Oblio oncologico, un diritto che va riconosciuto

Oblio oncologico, un diritto che va riconosciuto
Se nel diritto romano una delle pene più temute era la damnatio memoriae, cioè la cancellazione di qualsiasi traccia riguardante una determinata persona,...

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Se nel diritto romano una delle pene più temute era la damnatio memoriae, cioè la cancellazione di qualsiasi traccia riguardante una determinata persona, nell’era multimediale l’incubo è proprio l’esatto contrario: la gogna mediatica, vale a dire la perenne esposizione in Rete per fatti del passato non più in linea con la propria vita di tutti i giorni.

Di qui l’esigenza di proteggere, soprattutto in alcune situazioni più delicate, il cosiddetto diritto all’oblio, inteso come diritto alla rimozione di particolari non più attuali e che rischiano di fornire un’identità digitale distorta e fuorviante di un individuo.
Particolare rilevanza assume il riconoscimento del diritto all’oblio se riferito ai dati sensibili di natura sanitaria, che identificano lo stato di salute di una persona e le patologie dalle quali sia stata o risulti tuttora eventualmente affetta. Ad esempio ci sono in Italia tre milioni e mezzo di cittadini che si sono visti diagnosticare un tumore ma nel 27% dei casi sono guariti lasciandosi la malattia alle spalle e non necessitano di terapie ulteriori. 
Per loro, una volta usciti dal tunnel del cancro, inizia un altro calvario: quello della perenne esposizione del loro passato clinico, con l’obbligo di dichiarare la propria pregressa patologia oncologica in tantissime situazioni, quando richiedono un mutuo o firmano un contratto o una polizza assicurativa, quando partecipano a un concorso o quando provano ad adottare un bambino. Si materializza, dunque, un vero e proprio paradosso: questo milione di persone che si sono liberate dal tumore non riescono a liberarsi del suo stigma e subiscono quotidiane discriminazioni che qualcuno, con un’espressione efficace e quanto mai calzante, ha definito “apartheid oncologico”.
Il Parlamento europeo, già un anno fa, ha raccomandato agli Stati membri l’adozione, entro il 2025, di norme capaci di riequilibrare biografia individuale e memoria collettiva e di garantire il diritto di ciascuno ad essere dimenticato per spiacevoli vicende passate come una malattia grave. Peraltro esistono molti Stati europei che si sono dotati già anni fa di una legge per il riconoscimento del diritto all’oblio oncologico, a cominciare dalla Francia, che è stata la prima in ordine di tempo. Gli altri sono Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi e Portogallo. La Spagna, stando ai proclami ufficiali del premier Sanchez, dovrebbe varare entro l’estate una norma ad hoc. 
Anche il nostro Parlamento si sta muovendo in questa direzione. Sono all’esame della commissione Affari sociali della Camera quattro disegni di legge, due presentati dalle forze di maggioranza e due da quelle di opposizione, a riprova di quanto il tema travalichi gli schieramenti politici e si situi nella dimensione delle battaglie bipartisan di civiltà giuridica. I principi che accomunano i vari testi sul tappeto possono riassumersi nel divieto di chiedere informazioni o di ricorrere a clausole su una pregressa patologia oncologica in diversi ambiti: dalla stipula di contratti di assicurazione e servizi bancari e finanziari alle richieste di adozione, fino ad arrivare ai casi di partecipazione a un concorso.
Il diritto all’oblio dovrebbe scattare dieci anni dopo la fine delle terapie, a meno che la diagnosi tumorale non sia intervenuta prima del compimento dei 21 anni, nel qual caso basteranno cinque anni per ottenere la cancellazione del proprio passato di paziente oncologico.

Occorre fare presto perché l’ “immobilizzazione” dell’individuo nella sua malattia passata continua ad essere la normalità e ciò contrasta in maniera stridente con l’affermazione del principio di uguaglianza contenuto nella nostra Costituzione e nelle leggi vigenti.
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Il Messaggero