Il museo di Firenze per rilanciare la lingua italiana

Il museo di Firenze per rilanciare la lingua italiana
Finalmente una bella notizia. Nascerà a Firenze il “Museo della Lingua italiana”. Il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini ha accolto la proposta. ...

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Finalmente una bella notizia. Nascerà a Firenze il “Museo della Lingua italiana”. Il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini ha accolto la proposta.


Una proposta lanciata da tanti illustri italianisti e storici della lingua, e suffragata da una petizione in rete che ha riscosso migliaia di adesioni. Così, quasi vent’anni dopo la bella mostra dedicata alla storia della lingua, e allestita al Museo degli Uffizi, il ministro della Cultura ha deciso di stanziare 4 milioni e mezzo di euro per realizzare un museo ad hoc. 

Il progetto coinvolgerà le grandi istituzioni che vegliano sulla tradizione della lingua italiana, dall’Accademia della Crusca alla Dante Alighieri, dall’Enciclopedia Treccani all’Associazione per la Storia della lingua. E sarà realizzato a Firenze nel complesso monumentale di Santa Maria Novella, con ampio ricorso alle moderne tecnologie e a tutti i dispositivi interattivi che permettono sedurre il grande pubblico e divulgare una materia tanto complessa quanto essenziale. Non si poteva trovare modo migliore per promuovere, l’anno prossimo, la ricorrenza del settimo centenario della morte di Dante Alighieri, che del nostro idioma italiano, detto un tempo volgare, fu il padre, il sommo artefice, il genio insuperabile. 

Una bella notizia dunque per quanti hanno a cuore la storia millenaria di una delle più belle lingue romanze, nate dal latino e dalla corruzione del latino, frutto del volgare medievale, la lingua parlata dal volgo, e degli infiniti rimaneggiamenti imposti dai colti e dai grandi scrittori, che hanno portato alla creazione di una lingua letteraria nazionale, grazie all’opera di accademici illustri, a cominciare da Leon Battista Alberti, che concepì la Grammatichetta Vaticana, sino ad arrivare al cardinale Pietro Bembo, l’umanista veneziano amante di Lucrezia Borgia, che nel 1532, con le sue “Prose della volgar lingua” fondò l’italiano letterario sul modello della lingua di Dante, Petrarca e Boccaccio, che poi è ancora in larga parte l’italiano che parliamo oggi. 

Dunque una bella notizia per chi ha a cuore le sorti della comunità, che di una lingua è il riflesso, e soprattutto il suo futuro, dato che l’ordine mentale ha il suo presupposto nella precisione della lingua e nella conoscenza della lingua. E una bellissima notizia per quanti di noi si trovano ogni giorno a combattere una battaglia impari contro la degenerazione dell’italiano, assediato da mille neologismi, spesso fini a se stessi, da calchi e prestiti dissennati, da bolsi anglicismi trionfanti - pensate per esempio al successo inarrestabile di spoilerare, schedulare, per non parlare di backappare, verbi che dilagano con prepotenza non solo nel parlato di manager, informatici, conduttori televisivi, ma persino nella prosa di scrittori di consumo, premiati dal pubblico e aureolati da premi prestigiosi. 

Certo, il progetto di un museo dell’italiano è irresistibile e i lettori dello storico della lingua Giuseppe Antonelli, l’allievo di Luca Serianni e prima ancora di Bruno Migliorini che è stato uno dei suoi principali ispiratori, non vedono l’ora di scoprire fra le volte del complesso di Santa Maria Novella il percorso che egli stesso ha affidato a uno dei suoi saggi (intitolato giustappunto “Il museo della lingua italiana”, Mondadori) che è un vero e proprio viaggio nel tempo, suddiviso in tre tappe - l’italiano antico, l’italiano moderno e l’italiano contemporaneo - e in una sessantina di fermate, che vanno dal graffito di Commodilla, la ricca matrona romana nella catacomba della quale figura la frasetta che molti studiosi reputano la più antica testimonianza dell’italiano, al “Sì” della Piaggio, il motorino lanciato negli anni 70 che è l’epitome del genio di Dante, per il quale gli italiani erano “le genti del bel paese là dove ‘l sì suona”, (Inferno XXXII, v.80). 


Speriamo solo che, diversamente dal destino di tanti musei che di solito nascono per conservare la memoria di qualcosa che non c’è più, il nuovo Museo fiorentino non preluda alla definitiva condanna dell’italiano a solenne reperto archeologico, ma sia invece il propellente per riscoprirne la storia e per difenderla dall’incuria crescente, effetto dalle distorsioni correnti.  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero