Italia e luoghi comuni/L’immagine del Paese, un brand da rilanciare

Italia e luoghi comuni/L’immagine del Paese, un brand da rilanciare
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Vi porto a fare un giro tra Stati Uniti ed Europa per toccare con mano, anzi con occhi e orecchie, quanto l’Italia abbia bisogno di cambiare. E quanto bisogno ci sia di soft power, l’arte di sedurre e convincere applicata a un Paese, per far capire che sì, stiamo cambiando. Che possiamo cambiare. Sempre che la cosa ci interessi, naturalmente.


Cominciamo da come siamo visti nella upper crust newyorkese, vale a dire in quel circuito di grande finanza e grandi professionisti che il settore del turismo e degli investimenti sogna di veder tornare presto in Italia. “Il Decoro”, romanzo dello scrittore americano David Leavitt, già enfant prodige della narrativa anni ‘80 col suo “Ballo di famiglia”, descrive la titubanze di una ricca coppia newyorkese alle prese con l’acquisto di un appartamento a Venezia. La moglie insiste, il marito, che si occupa di finanza, le spiega perché conviene pensarci due volte: «Comprare un immobile in Italia è follia. Pura follia. Da quelle parti quando compri una casa il prezzo nel contratto non è quello che paghi in realtà. E’ soltanto una parte di quello vero... E’ per pagare meno tasse».

Emergono problemi che in Italia non sorprendono ma in America indignano. «La cucina dell’appartamento è illegale, non risultano permessi di alcun tipo. Da quanto capisco, questo genere di cose succede di continuo in Italia» ammette scoraggiata Eva, la moglie. E più avanti, pagina 181, cercando di rassicurare il marito: «Quando si compra una proprietà in Italia è normale mettere in conto qualcosa per le mazzette». Le mazzette, già. Nel romanzo è scritto in italiano.


Ecco, questo il quadro offerto al lettore da David Leavitt e l’autore non si è inventato niente. Ha trascritto la realtà. Ora, ammettiamo che il romanzo “Il Decoro” finisca in mano a una ricca coppia della Florida davvero intenzionata a comprare un appartamento in Italia. Non dico che ne sarà scoraggiata, ma incoraggiata nemmeno. Per fortuna pare che il mercato immobiliare di casa nostra stia incontrando l’interesse di molti investitori stranieri che evidentemente non leggono Leavitt. Ma l’immagine negativa resta. Come quella che si fa il lettore di Daniel Silva, apprezzato autore di spy stories che hanno per protagonista lo 007 israeliano Gabriel Allon. In “The Order” ambientato a Roma circa tre o quattro anni fa, la capitale ne esce malconcia.


Si discute in questi giorni di come rendere efficace il soft power di un Paese che tutti considerano affascinante ma che all’estero molti descrivono come fa David Leavitt: inaffidabile. Il soft power è il potere morbido, il potere che attraverso cinema, serie tv, musica, cultura fa diventare di tendenza un Paese, una città, un brand insomma. Gli Stati Uniti con Hollywood, la musica pop e ora con le serie tv sono i maestri del genere.

 
E noi? Al ministero degli Esteri e a quello della Cultura sono perfettamente consapevoli della sua importanza. L’ambasciatore Lorenzo Angeloni, direttore del Maeci che si occupa della promozione del sistema Paese è impegnato su più fronti e ne ha discusso in un recente talk promosso da Andrea Vento. La Rai, col canale in lingua inglese diretto da Fabrizio Ferragni, è altrettanto impegnata. Abbiamo anche un brand noto all’estero e che funziona, Mario Draghi presidente del Consiglio. I titoli simpatizzanti del Financial Times e Le Figaro certamente aiutano. Ma c’è sempre il rischio che una sera la coppia newyorkese del romanzo di David Leavitt decida di guardare una serie tv e clicchi su “Borgen”, made in Danimarca, o su Scandal, made in Usa. Fiction molto avvincenti ma la classe politica italiana non viene presentata in una versione, diciamo, autorevole. Viene raccontata in una battuta. Le stesse che troviamo da anni sui nostri giornali peraltro.

Se la scelta cade su “Borgen”, bellissima fiction che ha per protagonista Birgitte, prima donna presidente del Consiglio in Danimarca, la coppia di New York scoprirà che per ministri e politici danesi il massimo dell’insulto è essere paragonati ai colleghi italiani. «Questo è il Parlamento danese, non quello italiano» sbotta più di una volta il capocorrente del partito dei Moderati. 


E che dire della tagliente battuta con la quale il capo di Gabinetto del presidente degli Stati Uniti (e qui siamo su “Scandal” ) liquida l’ipotesi di un viaggio ufficiale in Italia? Il presidente americano è nei guai perché i media hanno scoperto una relazione extraconiugale e il suo consigliere corre ai ripari: «Cancella la visita al Papa e il viaggio in Italia. Un presidente con l’amante non può andare nel Paese del bunga bunga».


Per tornare alla conversazione dei newyorkesi protagonisti de “Il Decoro”: bisognerà convincere la coppia che le misure del governo Draghi sulla pubblica amministrazione non resteranno sulla carta. Rassicurarli circa il fatto che non subiranno richieste di mazzette per sveltire le pratiche dell’appartamento che Eva vuole comprare a Venezia. La prima tappa del percorso Nuovo Soft Power sarà per noi tutto sommato facile: raccontare con efficacia agli americani, ai danesi e a Daniel Silva, cosa stiamo facendo a Roma e in generale in Italia. Il soft power di certo servirà. Più complicata sarà la seconda tappa. Dopo averlo raccontato, infatti, dovremo farlo. Dovremo sul serio cambiare. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero