Potrebbe essere la leva di Archimede per lo sviluppo dell’area il progetto per ora esposto solo nelle linee generali da Mario Draghi, in particolare, all’Ecofin di...
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A volte si è parlato quasi sempre però semplicisticamente, della necessità di una nuova Bretton Woods per i rapporti monetari e finanziari internazionali. Il raffronto con gli Usa sul modo in cui sono state superate crisi che hanno inciso su produttività, produzione, crescita è decisamente negativo per l’Unione, per non parlare delle potenti misure americane di sostegno all’economia quale l”Inflation reduction act”.
L’ex banchiere centrale, naturalmente, aggiunge che, a fianco ai previsti 500 miliardi, dovrebbe essere mobilitato anche il risparmio privato e, prima ancora, andrebbero stimolati partenariati pubblici-privati, con la Bei che ricopra un ruolo di pilastro. A giugno, quando Draghi consegnerà il rapporto, si potrà svolgere un esame approfondito anche con riferimento alle condizioni realistiche perché un tale progetto possa essere attuato e alle sue ricadute, posto che in linea generale non potranno che essere condivise le esigenze cui si intende corrispondere. Non sfugge - e non per benaltrismo - che un programma della specie mette in luce i limiti istituzionali dell’Unione e della stessa Eurozona, a cominciare dalla “zoppia”con l’unica moneta e politica monetaria e le diverse politiche fiscali nazionali, cosa che, a sua volta, chiama in ballo la formazione e le attribuzioni delle principali istituzioni comunitarie (Europarlamento, Commissione, Consiglio). Quindi si pone il tema della difesa europea e del rapporto con le sovranità nazionali. Tuttavia l’urgenza di agire deve indurre a giocare con le carte con le quali si può, come avrebbe detto il grande banchiere centrale del rilancio dell’Italia, Donato Menichella. Allora, per la mobilitazione del risparmio, occorrerebbe avviare finalmente la costituzione del mercato unico dei capitali, argomento all’ordine del giorno, a dir poco da venti anni, ma che resta inattuato, quindi completare l’Unione bancaria, mettendo altresì ordine nella confusa e sovrabbondante normativa. E, poi, bisogna affrontare il “punctum dolens”. I 500 miliardi e oltre saranno debito comune europeo? Ciò sarebbe auspicabile. Dunque, raccolta delle risorse a livello centrale. Ma, poi, come si rifletterà pro quota nei bilanci dei singoli Paesi, a cominciare da quel debito aggiuntivo per la difesa? Non dovrebbe essere, questa, un’ulteriore occasione per un ripensamento delle regole della governance economica comunitaria, in particolare del soltanto molto parzialmente emendato Patto di stabilità? Non si ripropone, qui, l’esigenza di una “golden rule”, che escluda gli investimenti della categoria in questione dai vincoli del Patto? Se una revisione epocale appare necessaria, come emerge da quanto Draghi espone, questa deve riguardare non solo l’unitarietà degli impieghi, cioè gli investimenti, ma anche quella della raccolta, dunque il debito dell’Unione e i suoi riflessi sugli Stati, nonché il risparmio privato, dato che, ovviamente, non esistono pasti gratis. Insomma, un importante progetto che può fare da catalizzatore di altre essenziali riforme. Il fatto che sarà presentato mentre l’Unione rinnoverà il suo Parlamento può dare delle fondate speranze quanto meno di un esame e di un esteso dibattito anche pubblico volto a decidere. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero