OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Mentre si prevede da alcuni esperti una prossima offensiva massiccia della Russia e si discute, nel cosiddetto triangolo di Weimar (Germania, Francia e Polonia), dell’invio di missili a lunga gittata all’Ucraina, che accusa limiti nella disponibilità di armi e munizioni, viene riproposta la questione dell’impiego degli asset russi congelati per aiuti all’esercito ucraino. E ciò anche a motivo delle difficoltà che incontra lo stanziamento, da parte degli Usa, dell’aiuto all’Ucraina di 60 miliardi di dollari. Si reagirebbe così pure ai sintomi di stanchezza che comincerebbero a manifestarsi in alcuni Paesi Nato. Prescindendo, qui, dalla balzana, pericolosissima ipotesi di un intervento diretto nel conflitto da parte dell’Alleanza atlantica, prospettata da Emmanuel Macron, da parte di alcuni Governi, ivi compreso quello italiano, sussisterebbero argomentate perplessità nei confronti dell’impiego delle predette risorse bloccate in applicazione delle sanzioni comminate alla Russia. Come non si mettono in conto, le reazioni della Russia e non si predispongono le eventuali contro-reazioni. La vicenda degli iniziali prezzi del gas e del petrolio sembra non aver insegnato nulla, come, più in generale, non hanno insegnato alcunché le contromisure russe nei confronti delle sanzioni.
Ma, l’aspetto più importante è che non si inquadrano le possibili forniture di mezzi e di armi in una visione dello stato del conflitto, della necessità di una evoluzione quanto meno verso una sospensione delle ostilità, per non parlare di quel che si potrebbe trarre dalle parole del Pontefice.
L’incertezza che graverebbe sull’operazione, la carente affidabilità non sarebbero facilmente superabili, anche nella versione che altri prospettano cioè con l’emissione di titoli legati alla ricostruzione del Paese (naturalmente, a guerra conclusa). Una forzatura rischierebbe di riverberarsi negativamente sulla fiducia nell’euro e nelle relative regole monetarie. Sarebbe doveroso al riguardo un formale parere della Bce, anche per evitare di incorrere in un “boomerang”. Certamente, esiste una questione di danni immensi, gravissimi, prima ancora di straordinarie perdite di vite umane: indennizzi sono da prevedere, ma ciò è materia da fine della guerra. L’argomento si allarga comunque alle misure che si cominciano a prospettare per la sicurezza e la difesa dell’Unione che, però, richiedono risorse non incerte e da mettere in equilibrio con le misure in altri fondamentali settori, del lavoro, dello sviluppo economico, delle diverse transizioni, del Welfare. Un debito comune come garanzia sussidiaria collaterale all’utilizzo degli asset anzidetti sarebbe possibile? In teoria, sì, ma, pur prescindendo dalla questione della proprietà, viste, nell’Unione, le enormi difficoltà nella collettivizzazione di debiti e dei rischi , la speranza non sarebbe molto fondata. In definitiva, l’impiego delle risorse in questione sarebbe un deciso “strappo”, per di più avulso dai fini ultimi dell’utilizzo e, prima, dalle possibili risposte dei mercati. Non sarebbe esaustivo del fabbisogno finanziario, considerato che anche i sostenitori - si veda la Segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen - ritengono che l’operazione andrebbe integrata con altri fondi (si vedano i 60 miliardi di cui sopra). Sono, dunque, da valutare “pro” (pochi) e “contra” (molti) dell’ operazione stessa. Mentre si riscopre affrettatamente il non esaltante detto “si vis pacem, para bellum”, essenziale dovrebbe essere la chiarezza sugli obiettivi e sulla capacità di conseguirli.
Il Messaggero