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Un mese fa, non volevamo nemmeno vederlo questo Mondiale del Qatar. Diritti calpestati, proteste silenziate, operai (morti) dimenticati e - innanzitutto, siamo onesti - l’assenza della nostra Nazionale, impegnata nel giorno inaugurale del torneo iridato in una tristissima amichevole (persa, ovviamente) a Vienna con l’Austria. Un mese dopo, (quasi) pronti a festeggiare un altro Natale in tempi di crisi, fiaccati nel corpo e nello spirito non più dal Covid ma dall’influenza peggiore di sempre, con la prospettiva poco esaltante di rituffarci nel calciomercato e nella nostra amata Serie A, abbiamo i lucciconi perché il Mondiale è finito e non possiamo goderne più. Alzi la mano chi ieri non avrebbe pagato di tasca propria perché quel meraviglioso concentrato di emozioni, gesti atletici, colpi di classe, scariche di adrenalina pura che è stata Argentina-Francia, dal calcio d’inizio al rigore di Montiel, non proseguisse per tutta la sera, la notte, il giorno successivo. Non proseguisse per sempre. Come un videogioco, che si può ripetere all’infinito, ma con dentro i sentimenti della vita umana. Diciamocelo francamente: questo Mondiale del Qatar è stato un balsamo sulle cupezze delle nostre vite precarie e stanche, sulle ferite laceranti che i prematuri addii a Sinisa Mihajlovic e Mario Sconcerti hanno provocato in queste ore nei cuori di noi sportivi.
Per carità, le contraddizioni di un torneo organizzato nel deserto (ma chi si è lamentato delle temperature?), sotto Natale (i regali li abbiamo fatti ugualmente, chi se lo può permettere), in un Paese che ha un concetto molto discutibile della democrazia, per mano di un’organizzazione - l’ormai celeberrima Fifa - che ha fatto un po’ di tutto per imbavagliare il dissenso, restano tutte.
E la finale di ieri, bè... è riduttivo (anche se verissimo) definirla la più bella finale mondiale di sempre. Per molti, sicuramente per i più giovani, è stata la partita mondiale più leggendaria di sempre. Per gli italiani che viaggiano verso i sessanta, e naturalmente per chi li ha superati, ha richiamato alla memoria quel concentrato di emozioni, gol e ribaltoni che furono i supplementari di Italia-Germania 4-3, semifinale all’Azteca di Città del Messico (c’è ancora la targa che lo ricorda), estate 1970, indimenticabili e - credevamo - unici. Fino a ieri. E in effetti a pareggiare la quantità di emozioni di quell’altra epica sfida, ieri è mancato solo il gol del 4-3, che avrebbe evitato ai contendenti, soprattutto ai vinti, la crudeltà dei calci di rigore. Per il resto, ieri il calcio ci ha regalato tutto il campionario, anzi di più, compresa la vasta gamma di sentimenti che di solito riempiono l’epica, quella calcistica come quella omerica. Ad un certo punto, qualcuno deve essersi sentito come il replicante di Blade Runner («Ho visto cose che voi umani...»), o come i poveri impiegati del Secondo tragico Fantozzi, costretti a vedere l’ennesima replica della Corazzata “Kotiomkin” mentre l’Italia sfida l’Inghilterra (e vince 20-0, “aveva segnato anche Zoff, di testa, su calcio d’angolo...”). Insomma, cose mai viste, o quasi. Prima di Mbappé, solo l’inglese Hurst era riuscito nell’impresa di segnare una tripletta in una finale mondiale. Correva l’anno 1966. L’Inghilterra insegue da allora un altro successo, il calcio, per fortuna, continua a inseguire e celebrare nuovi miti. Per la goduria, proprio così, di milioni di persone. Argentina-Francia è stata anche, anzi innanzitutto, uno scontro tra quei due titani, la battaglia finale tra i due eroi omerici dei nostri tempi. Finale, perché purtroppo non ci sarà un altro Mondiale con Lionel Messi, la pulce che si fece leone senza perdere la grazia (immensa). Ma ce ne saranno altri, almeno un paio, con quel robot di Kylian Mbappé, che si trasforma in un razzo missile coi circuiti di mille valvole come in quel cartone. E poi, possiamo sempre rivederci la partita di ieri. Come cantava Jovanotti? Il più grande spettacolo dopo il big bang. Sarà piaciuto anche a Diego, lassù. E a Pelè, nella sua stanzetta a San Paolo. W il calcio.
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Il Messaggero