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L’ipotesi di scioglimento di Forza Nuova, che pare sia al vaglio del governo, pone due problemi, l’uno giuridico l’altro politico.
Il primo è disciplinato dalla legge Scelba del 1952, integrata dalla successiva legge Mancino. Esse dispongono che un partito “neofascista”può esser sciolto sulla base di una sentenza irrevocabile della magistratura, oppure, in caso di necessità ed urgenza da un decreto legge. Poiché una sentenza non c’è, e non ci sarà nell’immediato futuro, resta l’ipotesi del provvedimento del governo. Questo però dev’essere convertito dal Parlamento, e diventa quindi un affare politico: una responsabilità gravosa, perché incide sul diritto costituzionale della libertà di associazione e di espressione. Posso sbagliare, ma credo che se un simile decreto approdasse alle Camere susciterebbe polemiche senza conseguire risultati, perché i presupposti normativi per lo scioglimento di un partito sono così vaghi ed evanescenti da consentire di dire tutto e il contrario di tutto. Il concetto di “fascismo”, su cui si fondano le due leggi, può infatti essere interpretato in senso stretto e storico: e allora le condizioni mancano perché i saccheggi di Forza Nuova non sembrano finalizzati a far risuscitare il Regime. Oppure il fascismo viene considerato in senso lato, come sinonimo di sopraffazione violenta, e allora il concetto è applicabile anche a chi, come i centri sociali, ha fatto dell’antifascismo una bandiera e se ne è servito in modo altrettanto facinoroso. Infine, e questo è il paradosso più bizzarro, il nostro legislatore continua a ignorare che il codice penale, che disciplina la struttura di ogni reato, compresi quelli delle leggi Scelba-Mancino, è frutto proprio del ventennio fascista.
La storia - maestra di vita - ci insegna che è vano intervenire con provvedimenti legislativi contro partiti per quanto sciagurati. Perché dietro queste formazioni ci sono delle persone di carne e sangue, anche se prive di cervello e di scrupoli. “Mutato nomine”, la sostanza rimarrebbe sempre la stessa, e questi criminali imbecilli si raggrupperebbero sotto sigle diverse. Quello che serve è individuarli, isolarli, e se necessario renderli inoffensivi. Questo è quello che magistratura e governo dovrebbero fare. Ma lo hanno fatto?
Quanto alla magistratura, essa è vincolata dal principio di presunzione di innocenza, dal triplo grado di giudizio e dall’endemica lentezza del suo procedere. La maggior parte degli arrestati dei giorni scorsi è già stata liberata, ed è giusto così, perché questo dice la legge. Ma se la repressione penale è futura e incerta, la prevenzione invece è - o dovrebbe essere - facile ed efficace. Facile, perché questi teppisti sono, come si dice, noti all’ufficio. Ed efficace perché le nostre Forze dell’ordine dispongono del numero, dei mezzi e della preparazione idonea a impedire devastazioni e saccheggi come quelli commessi a Roma e altrove. Ma perché questo non è avvenuto? Questa, direbbe Amleto, è la questione.
Un tempo, davanti a simili manifestazioni violente, la dietrologia si domandava: a chi giova? Persino i brigatisti, fino all’omicidio di Guido Rossa, erano considerati “sedicenti”, e magari manutengoli di una destra eversiva. Sarà bene che nessuno ora cada in questo tranello, anche se la tentazione di una lettura maliziosa degli eventi di Roma potrebbe sembrare giustificata. E allora si dica pure chiaro e tondo che la Cgil è stata devastata da manigoldi neofascisti. Ma si dica anche che lo stesso giudizio severo dev’essere applicato, per il passato e per il futuro, a qualsiasi forma di protesta violenta. Si dica infine che le Forze dell’ordine devono esser rispettate senza se e senza ma, che ogni disubbidienza alle loro intimazioni, impartite secondo la legge, non è mai giustificata né tollerabile, e che ogni aggressione contro di loro è un’aggressione allo Stato, quale che sia la bandiera innalzata dai facinorosi, sia che agitino il pugno chiuso sia che tendano il braccio alzato. E si abbandoni la cosiddetta “strategia del contenimento”, che spesso nasconde l’impotenza o la rassegnazione codarda dietro un falso concetto di libertà. La quale, come insegnava il filosofo, è figlia dell’ordine, ma può esser madre del caos.
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Il Messaggero