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A costo zero, col comodo mantello di un’impunità quasi totale, gli eco-vandali di “Ultima generazione” continuano a divertirsi nel perverso gioco al massacro dei monumenti e delle opere d’arte. Stavolta è toccato alla Barcaccia del Bernini, in piazza di Spagna, subire l’oltraggio di alcune secchiate di vernice nera. Cambiare il colore dell’acqua della celeberrima fontana ai piedi di Trinità dei Monti racchiudeva il messaggio, si fa per dire politico, al governo: smettetela con il carbone.
La sequenza di questi blitz degli imbrattatori impuniti e coraggiosi per mancanza di rischi deve finire. Il ridicolo è oltrepassato, la beffa fa sempre centro: siamo di fronte a qualcosa di insopportabile, di oltraggioso, di malmostoso che richiede una diversa risposta istituzionale. Una sfida che si avvera a cadenza regolare, prevedibile: attinge alla vecchia goliardia dei bagni nelle fontane o peggio all’assalto di tifoserie scalmanate scese dal nord Europa a spadroneggiare nel nostro centro storico.
Esiste un’inaccettabile sproporzione tra il gesto vandalico, predatorio (mi impossesso di ciò che è di tutti e lo pretendo come se fosse mio) e quel che vorrebbe essere il suo contenuto di protesta, di denuncia, di contrapposizione.
Il fragore del blitz si risolve con i pochi spiccioli pretesi dalla legge penale e ciò si trasforma in un magnifico incentivo a perseverare. Neppure la fondatezza della protesta, semmai lo fosse, potrebbe essere invocata come attenuante. La tesi sostenuta dai vandali, secondo cui le loro denunce giustificano qualsiasi trasgressione perché riguardano la vita e la salute di tutti, annega nella scelta di azioni contro un patrimonio che va accuratamente manutenuto e preservato.
Ecco allora che gli imbrattatori organizzati, sommersi dagli insulti dei testimoni, divengono essi stessi vittime di un paradosso, quello di pretendere di sporcare tesori d’arte quando, nel contempo, rivendicano il bisogno di pulire e ripulire, aria compresa. Senza contare il dispendio di acqua utilizzata per ripulire i monumenti dalle macchie.
Al di là delle comprensibili ragioni ecologiche che meriterebbero, e infatti lo sono, di essere discusse, considerate e perfino condivise, è l’atto falsamente placido che sorregge la protesta violenta che ripugna e va rifiutato. Ritrovarsi beffeggiati e derisi, perché questo accade, produce in questi soggetti il piacere masochistico degli scappellotti verbali.
Basterebbe decidere in fretta di cambiare registro. Provare con una terapia d’urto capace di eradicare le loro cattive intenzioni. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero