Film targato Vanzina/Il Natale a 5 stelle farsa sul Paese che non cambia

Film targato Vanzina/Il Natale a 5 stelle farsa sul Paese che non cambia
Cambiamento? Macché! Il potere giallo-verde è una pochade, nelle sapienti mani dei Vanzina. Carlo ha scritto con Enrico la sceneggiatura ma poi purtroppo è...

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Cambiamento? Macché! Il potere giallo-verde è una pochade, nelle sapienti mani dei Vanzina. Carlo ha scritto con Enrico la sceneggiatura ma poi purtroppo è morto, mentre è di Marco Risi la regia di “Natale a 5 stelle”, il film che sta per uscire su Netflix. 


Ma stavolta non nelle sale. Una commedia degli equivoci e degli inganni, tra falso moralismo (ostriche & champagne soltanto di nascosto) e incompetenza spacciata per novità. I purissimi e i nuovissimi del Palazzo felpa-stellato, bugiardi e felloni, malati di sondaggi e fissati con le donne, sono personaggi da cinepanettone ma questo non è un cinepanettone. Si tratta invece di una farsa leggera e spietata sui potenti di oggi che nei trucchi e nelle debolezze somigliano, perfino in peggio, a quelli di sempre, nell’infinita decadenza italiana. E’ la politica in generale che non esce bene da questo racconto allegro e straripante di ritmo e gag. 

E che ridere quando il simil premier Conte, ma con baffetti alla Clark Gable de’ noantri e di professione commercialista e non avvocato, romanissimo e non pugliese - voglioso solo di finire a letto con Giulia Rossi, bella deputata del Pd con cadenza toscana (la Boschi?) insieme alla quale stringere sotto le lenzuola un Patto del Nazareno giallo-rosso - risponde al telefono a Salvini: “Matteo? Ah, c’è maretta con Luigi? Vabbè, lo calmo io”. E il suo segretario-portaborse, il Bianchini da Guidonia (Ricky Memphis) ex comunista diventato mezzo grillino e mezzo lumbard eletto con soli 127 voti digitali, scafato ma pure disgustato: “Che manicomio ‘sto governo!”. In cui il presidente cialtrone - Franco Rispoli, cioè Massimo Ghini - non fa che dirsi “cittadino” e il cui unico sforzo, oltre al rimorchio, è quello di fare il piacione agli occhi della “ggente”. 

Allora quelli di prima erano migliori di questi qua? No, per esempio Renzi è definito un “contaballe”. Il rischio naturalmente è quello di cadere nel qualunquismo. Ma la forza comica lo supera. E se manca nel cast una figura riconducibile al Dibba, è forse perché il Dibba fa l’attore già di suo tra il Belpaese e la Pampa. Ecco invece il narciso presidente che non fa che ripetere a se stesso e a tutti gli altri in un multiplo brivido: “Quanto mi piace fare il premier, quanto mi piace, quanto mi piace....”. 
Il re è nudo e il cambiamento può attendere, insomma. Ma prima di denudarsi davvero, insieme alla Rossi (ossia Martina Stella) che s’è formata politicamente come concorrente dell’Isola dei famosi, arriva il marito salvinista di lei e il presidente non si dà pace: “Ma non stava a Tolfa, alla festa del popolo padano?”. E quando quello s’arrabbia, viene rintuzzato così: “Ma lei è leghista e si comporta come un geloso siciliano? Se lo sa Giorgetti la sgrida...”. 
La politica da Natale a 5 stelle è quella che, non solo in giallo-verde, ha perso senso e dignità. Non ci sono più partiti, né culture, né interessi sociali, né radicamenti, né ideologie o almeno speranze: la parodia s’è mangiata tutto.

Anche i nuovi ismi. Per cui il sovranismo non è altro che la suoneria del cellulare del premier con l’Inno di Mameli. E il populismo è allisciarsi le masse così: “Con il telefonino di Palazzo Chigi faccio solo chiamate di lavoro, eh”. Quelle private con i soldi pubblici le fa solo la Casta e la Casta sono sempre gli altri, anche quando non è così. 
Il governo del cambiamento si regge sul mai dire la verità, sennò si va a casa ed è finita la pacchia. E sul fingersi diversi, finché il gioco regge e il raggiro non viene scoperto. Ma quello di Vanzina e Risi non è un pamphlet cinematografico e tantomeno i due vogliono moraleggiare sulle macchiette del potere, ma soltanto giocare con la loro comica inconsistenza. Del tipo, quando arriva il conto salato dell’albergo in cui si svolge tutto e che aveva ospitato anche il presidente francese: “Ma gli extra glieli avete fatti paga’ pure a Macron?”. 


E’ tutta una guazza, è tutta una bolla, è un ciclone pieno di nulla se non di amorazzi incompiuti come tutto il resto (dalla Tav al reddito di cittadinanza) questa Italia a 5 stelle tra reality e Feydeau. In cui la disistima di sé e degli altri è l’unico collante politico-antropologico, insieme all’io speriamo che me la cavo. E perciò la sceneggiatura e la regia in fondo guardano con pietas, in una severa commiserazione dell’effimero, questi sbruffoni, questi nuovi mostri che si dimenano, abbarbicati al potere come illusione di felicità. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero