Il gap energetico/ All’origine di una crisi che scuote l’economia

Il gap energetico/ All’origine di una crisi che scuote l’economia
Quando si dice guardare lontano. Domenica 28 giugno 2015 Romano Prodi pubblicava su questo giornale una sua analisi in cui chiariva che l’Italia quanto a forniture di gas...

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Quando si dice guardare lontano. Domenica 28 giugno 2015 Romano Prodi pubblicava su questo giornale una sua analisi in cui chiariva che l’Italia quanto a forniture di gas era finita all’angolo a causa dell’accordo Mosca-Berlino. Era accaduto che la settimana precedente fosse stato firmato a San Pietroburgo un significativo accordo fra il piùgrande produttore di gas russo e le maggiori imprese tedesche. Legittimi interessi in sé, non fosse che dietro quell’intesa c’era una storia che Prodi pazientemente ricostruiva e che oggi va riletta con attenzione.


Tutto si inseriva nelle progettazioni dei gasdotti per portare quella preziosa risorsa in Europa. All’epoca tutto passava per un itinerario, già attivo ai tempi dell’Urss, che attraversava l’Ucraina, allora parte di quell’impero. Era sempre funzionato senza grossi problemi anche ai tempi della guerra fredda, perché così conveniva a tutti, ma con la dissoluzione dell’Urss e con la creazione dell’indipendenza ucraina avevano iniziato ad emergere problemi per i diritti di transito esigiti dal nuovo stato, che peraltro aveva preso a confrontarsi con problemi di tensioni belliche. Così si era lavorato dal 2006 alla costruzione di un nuovo gasdotto che passasse a Nord, dalla Russia alla Germania attraversando il Baltico. A capo del consorzio che lo progettava e che l’avrebbe gestito, la North Stream AG, veniva posto Gerhard Schröder, che aveva da poco perso le elezioni come cancelliere della Germania. Per non avere una sola via da Nord venne proposto di creare un South Stream che, aggirando l’Ucraina, avrebbe dovuto arrivare in Italia.

Questo secondo progetto viene già affossato a fine 2014. L’Unione Europea non è d’accordo, ci sono problemi con alcuni Paesi di transito, preoccupa il dover passare attraverso la Turchia, all’epoca partner guardato con sospetto. L’Italia non si muove bene in questo frangente. Al governo c’è Renzi, molto occupato con la politica interna (emblematico il tentativo di riforma costituzionale). Nonostante il nostro Paese abbia la presidenza di turno del Consiglio Europeo, dal 1° luglio al 31 dicembre 2014, alla fine di quell’anno il progetto del South Stream viene abbandonato. Renzi otterrà per l’Italia, non senza suscitare qualche perplessità e polemiche, che si assegni il ruolo di Alto Rappresentante per la Politica Estera a Federica Mogherini, ministro degli Esteri nel suo governo (che, sia detto incidentalmente, non darà poi una performance memorabile).

E qui torniamo a Prodi, che nell’articolo da cui abbiamo preso le mosse informa i lettori che «dallo scorso dicembre mi sono permesso di proporre alle diverse parti in causa (in modo del tutto informale) la creazione di un consorzio paritetico fra Unione Europea, Russia ed Ucraina che rilevasse la proprietà o almeno la gestione del gasdotto ucraino in modo da garantire attraverso regole chiare la piena utilizzazione di questa importantissima infrastruttura». Già allora Prodi scriveva con lungimiranza che così si sarebbe potuto «costruire finalmente uno strumento di pace per allentare la tensione esistente nello scenario ucraino, diventato sempre più tragico e pieno di incognite per il futuro» (fra febbraio e marzo 2014 la Crimea era passata a far parte della Russia, mentre in Ucraina c’erano state tensioni contro le componenti russofile con presa di potere dei loro avversari).
Le proposte informali di Prodi erano state lasciate cadere. Non ne volevano sapere i tedeschi (dal 2013 era in carico il III governo Merkel, ora di “grande coalizione”) concentrati sui loro interessi egoistici che si rivelano oggi di corto respiro. Non risulta che avessero trovato udienza nel governo italiano: Renzi non amava Prodi che considerava troppo amico di Letta che aveva spodestato e in precedenza aveva cercato un accordo con Berlusconi, altro personaggio poco propenso a lasciare spazio al suo rivale di successo (sebbene ad inizio 2015 Renzi avesse rotto col Cavaliere sul problema dell’elezione del Presidente della repubblica). Fra il resto già allora l’Italia era preda dei populismi pseudo-ambientalisti con la regione Puglia che si opponeva all’arrivo sulle sue coste di un gasdotto strategico che ci avrebbe portato gas dall’Azerbaijan (altro bell’esempio di acume politico).

Prodi si era subito reso conto delle «conseguenze particolari (di quanto avvenuto con la strategia del North Stream) nei confronti dell’Italia che non possiede gli adeguati impianti di rigassificazione che permettono alla Spagna di rifornirsi completamente con le navi metaniere e non dispone nemmeno delle centrali nucleari di cui la Francia può fare uso per sostituire il gas». Sette anni dopo queste considerazioni sono largamente presenti nel nostro dibattito, del tutto dimentico che ci si sarebbe potuto pensare per tempo. 

L’Europa dovrebbe oggi riflettere sul fatto che paga, una volta di più, la miopia di non aver saputo rompere con gli egoismi nazionali ereditati da un passato che fa fatica a passare. Quanto al nostro Paese sarebbe tempo di lasciar perdere le demagogie che giocano con storie che non capiscono e ancor meno conoscono per comprendere che le soluzioni vanno impostate per tempo, tenendo conto che nella storia tutto si muove ed è senza senso considerare quel che accade in un certo tempo come definitivo e insuperabile.

Davvero si può chiudere riproponendo le conclusioni dell’articolo di Prodi del 28 giugno 2015 da cui abbiamo preso le mosse. Non solo per riconoscere che chi ha competenza ed esperienza ha anche “visione” (vera), ma per riprendere il dovere di guidare l’opinione pubblica a formarsi analisi consapevoli della complessità della attuale fase storica. Da parte di chi ha compiti di governo, come da parte di chi li ha nella formazione della pubblica opinione. Ed ecco la conclusione: «Mi pongo e pongo, infine, ai pazienti lettori un’ultima domanda. E cioè come mai il governo tedesco, che più di ogni altro ha voluto e tuttora sostiene le sanzioni contro la Russia (all’epoca quelle per l’annessione della Crimea, ndr), firma proprio oggi un contratto che lega in modo indissolubile il futuro delle economie dei due Paesi e lo firmi proprio con un’impresa come la Gazprom che, a torto o a ragione, viene continuamente messa sotto processo a Bruxelles? Non sarebbe tempo di impostare una politica basata su rapporti chiari e costruttivi con Mosca, una politica che tenga finalmente conto dei problemi e degli interessi di tutti gli europei?».

 

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Il Messaggero