I seggi a Palermo/ Se non si vota per una partita, chi perde è la democrazia

I seggi a Palermo/ Se non si vota per una partita, chi perde è la democrazia
Molti diranno che c’era da aspettarselo e troveranno varie buone spiegazioni per come è andata. Bassa affluenza per i referendum (non si arriva al 20%),...

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Molti diranno che c’era da aspettarselo e troveranno varie buone spiegazioni per come è andata. Bassa affluenza per i referendum (non si arriva al 20%), partecipazione poco esaltante anche per le amministrative. Vogliamo consolarci ricordando che anche in Francia per elezioni nazionali piuttosto importanti si arriva a stento a sfiorare il 50% di elettori che vanno alle urne? Non ci pare il caso. Piuttosto chiediamoci dove sta la radice di questa disaffezione verso la partecipazione alla vita pubblica. Siamo arrivati all’estremo di Palermo dove 50 presidenti di seggio non si presentano sembra per poter andare a vedere la partita della loro squadra. Notiamo che non si tratta di persone con un basso grado di acculturazione: per ricoprire quel ruolo bisogna avere almeno il diploma di scuola media superiore, ma di solito la maggior parte ha una laurea. L’inciviltà dimostrata da queste persone lascia sgomenti e si capisce che poi fra troppi elettori latiti la consapevolezza di sentirsi parte della comunità politica.

Per i referendum va detto che una volta di più si dimostra sbagliato considerarli un grimaldello per fare un po’ di populismo con la solita storiella del popolo contro la casta parlamentare. Prima di tutto perché non è affogando l’elettore in una pluralità di quesiti complicati (questa volta cinque, ma se la Corte costituzionale non ne avesse esclusi due sarebbero stati sette) che si consente alla gente di “farsi un’idea” di quel che è in questione. Lasciamo perdere il trito ritornello che c’è stata poca informazione. Non è stata molta, ma sufficiente ad accendere interesse se si fosse capito dove il referendum poteva incidere davvero. Invece nella propaganda tanto dei favorevoli quanto dei contrari si è per lo più fatto a chi la sparava più grossa prefigurando o miracoli di riforma o sciagure per il cedimento su principi tradizionali. La gente, come suol dirsi, nasa che si tratta di teatrino e volta le spalle.

Che poi i conservatori e le varie lobby speculino su questo fa parte della debolezza della nostra coscienza civile: i contrari anziché mobilitarsi perché prevalga il no, sfruttano a priori la scarsa attrattività dell’impegno politico che si esprime con l’astensione. Piace vincere facile, ma si intacca la partecipazione alla vita pubblica: giochetti pericolosi. Speriamo che presto si arrivi a renderli almeno difficili fissando il quorum di validità al livello medio di partecipazione che si è avuto in due o tre precedenti tornate elettorali.

Adesso sarebbe da attendersi che le forze politiche che hanno sostenuto la necessità di riformare la giustizia coi referendum e quelle che al contrario hanno detto che non era così che i sarebbero risolti i problemi in campo si facessero carico del messaggio profondo che viene dalle urne referendarie: fate il vostro mestiere in parlamento e realizzate i cambiamenti necessari. Se si sommano anche solo i numeri di quelli che in vario modo hanno sostenuto che bisognava correggere varie storture, c’è una maggioranza più che sufficiente. Per di più la riforma Cartabia alcune delle esigenze riflesse nei quesiti referendari le ha già prese in carico. Altre, come un più equilibrato uso del ricorso alla carcerazione preventiva, sono riforme invocate da tempo: anche senza rifarsi sempre al pur grave caso di Enzo Tortora, qualcuno ricorda il caso del direttore generale di Bankitalia Mario Sarcinelli oggetto di simili “attenzioni” non da un Pm in quel caso, ma da un giudice istruttore? Stesso discorso per alcune conclamate storture della legge Severino.

Se vogliamo far fare a questo paese un salto di civismo più che ai colpi di mano come finiscono per essere troppo spesso i referendum, si deve ricorrere al serio lavoro del parlamento, del governo, dei partiti. Dirlo oggi che stiamo aspettando i risultati di una consultazione amministrativa da cui tutti vogliono cavare cabale sul futuro dei nostri equilibri politici può sembrare il classico sperare contro ogni speranza. Ma dobbiamo farlo, altrimenti finiamo per affidare l’immagine del paese ai 50 presidenti di seggio palermitani che hanno disertato per godersi una partita di calcio.

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Il Messaggero