Lo scudo Nato e i compiti da rinegoziare nel 70° anniversario della fondazione

Lo scudo Nato e i compiti da rinegoziare
Settant’anni, e sentirli. Sono quelli che tra pochi giorni, precisamente il 4 aprile, compirà la Nato.  I...

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Settant’anni, e sentirli. Sono quelli che tra pochi giorni, precisamente il 4 aprile, compirà la Nato. 

I settant’anni della North Atlantic Treaty Organization, in italiano Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, meglio nota con l’acronimo di Nato. Sono molti infatti, tra gli analisti di politica estera, a ritenere l’alleanza destinata a estinguersi, a cominciare dall’ex premier svedese Carl Bildt, fino a non pochi studiosi, convinti che nella storia le alleanze nate per un obiettivo si siano presto dissolte una volta questo raggiunto. E anche Trump, off the records, a tratti sembra pensarla così.
Dopotutto, la Nato era sorta per difendere l’Europa occidentale dal pericolo dell’invasione comunista. Una volta venuta meno questa, nel 1991, la Nato ha cercato una nuova identità ma in maniera ambigua e incoerente, tanto da irritare la Russia e spingerla su posizioni di netta contrapposizione. Tuttavia pare che Trump, almeno per il momento, abbia abbandonato l’idea di lasciare la Nato, un’affermazione clamorosa che pur gli è stata attribuita. L’ambasciatore statunitense Lewis M. Eisenberg, infatti, proprio ieri, durante un convegno romano sui settant’anni della Nato, ha affermato che essa «è adesso forse più importante che nel 1949. In un ambiente politico sempre più competitivo dobbiamo investire nella nostra sicurezza».
E ha chiesto a tutti i Paesi, a cominciare ovviamente all’Italia, di innalzare il proprio contributo all’Alleanza atlantica, fino a cercare di raggiungere il 2% del Pil. Ma allora la Nato è un ferro vecchio per gli americani, che da Bush jr. sono più interessati al Pacifico che all’Atlantico, oppure è ancora un’alleanza chiave? Lo è, se sarà in grado di rinnovarsi radicalmente. Innanzitutto, Trump e l’amministrazione Usa hanno pienamente ragione a chiedere ai vari Paesi aderenti l’aumento del contributi. E se è ritenuta bassa la quota versata da uno Stato in surplus come la Germania, neppure noi possiamo e dobbiamo sottrarci.
Ma difenderci da che cosa? E qui sta il profilo arcaico della Nato. Che è strutturata ancora come se i pericoli venissero da Est, secondo uno scenario da guerra fredda. 
I rischi, per la nostra stabilità, vengono soprattutto da Sud, dal Mediterraneo, dal Medio oriente e dall’Africa. E si chiamano terrorismo e immigrazione, che è un fenomeno che può recare un effetto fortemente destabilizzante anche sul piano geopolitico. Che cosa ci offre la Nato da questo punto di vista? Sul versante del pattugliamento dei mari e per contribuire alla difesa dei confini europei, che contributo fornisce? L’altro pericolo poi non viene né da est né da ovest, ma dalla rete, e riguarda i rischi di cyber guerra, condotti non da soggetti statali classici ma da organizzazioni non statuali, e non solo da quelle terroristiche.
Come scrive il politologo statunitense Jakub Grygiel nel recente libro “The return of barbarians”, lo scenario delle guerre del presente e dell’immediato futuro assomiglierà sempre più a quelle che si svolgevano tra la caduta dell’Impero romano e l’alto Medioevo, dove a confrontarsi non erano soggetti statuali ma una miriade di attori molto aggressivi e molto violenti, veloci e dinamici. La Nato è invece un’organizzazione lenta, in tal senso westfaliana, cioè un’alleanza tra Stati organizzata per confrontarsi con altri Stati, secondo un modello di guerra “classica”.

Noi crediamo che nessuno debba sottrarsi nel contribuire alle spese militari, purché però l’offerta sia all’altezza dei tempi e delle sfide. Anche se, a giudicare dalla pigrizia delle due potenze nucleari del continente, Regno Unito e Francia, e dalla tigna del principale gigante economico, la Germania, nessuno sembra così voglioso e impaziente di costruire una “nuova” Nato. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero