Affinità elettive/ La fratellanza dei chavisti e i suoi derivati

Affinità elettive/ La fratellanza dei chavisti e i suoi derivati
Poveri venezuelani: il danno e la beffa! Il danno di crepare di stenti seduti su una miniera d’oro.<QM> La beffa di...

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Poveri venezuelani: il danno e la beffa! Il danno di crepare di stenti seduti su una miniera d’oro.<QM>

La beffa di aver pagato lo stipendio a chi, all’altro capo del mondo, celebra i loro aguzzini. Vedremo se davvero Hugo Chávez finanziò Casaleggio e Grillo. O forse no, non lo sapremo mai con certezza. Ma se non è vero, è verosimile. Perfino nei modi, rozzi come si conviene: la scena della valigetta stracolma di verdoni chavisti non è nuova; era andata in onda all’aeroporto di Buenos Aires nel 2007. Beneficiario? Il peronismo, la campagna elettorale di Cristina Kirchner. Chissà quante altre valigie ci saranno passate sotto il naso.

Ma perché Chávez? Perché i Cinquestelle? Non è uno strano connubio? Cominciamo da Chávez. Come Fidel Castro prima di lui, come Juan D. Perón prima di entrambi, si credeva un redentore: “Dio sta con noi”, ripeteva; “costruirò il regno del figlio di Dio”, prometteva. Dio e Patria, croce e spada, profetico e millenarista, messianico e megalomane, Chávez credeva di attuare il piano di Dio nella storia, di condurre il suo “popolo”, il “popolo eletto”, alla terra promessa. Il dissenso? Eresia. L’opposizione? Apostasia. Il suo ordine? Una teocrazia popolare. Nulla era più estraneo a Chávez dei principi pluralisti, secolari, democratici del costituzionalismo liberale; combatteva per restaurare un “ordine cristiano”. Uno dei suoi più noti cantori spiegò: “una dittatura eletta non è una dittatura”. Era un gesuita. Da quando, nel 2015, il chavismo perse le elezioni, fu dittatura e basta: s’è mai visto Cristo sconfitto alle urne?

<HS9>Nemico di Perón era stato il liberalismo, di Castro il capitalismo, di Chávez il neoliberalismo: tre parole, una cosa sola: il nemico è un nemico morale, è “l’egoismo” e l’Occidente che ne è la culla, gli Stati Uniti in testa. E come il peronismo ed il castrismo, anche il chavismo fu nazionalista e universalista insieme: la “rivoluzione” in patria annunciava l’apostolato globale, la conversione mondiale. Quando andò al potere, il barile di petrolio valeva 8 dollari, una miseria; durante il suo governo superò i 100, piovvero per anni petrodollari a catinelle. “Un segno di Dio”, avrà pensato. Ci finanziò amici ed alleati, governi latini e gruppi islamici, nemici dei nemici e clienti di convenienza, dai Caraibi al Medio Oriente, tutti uniti contro l’infedele: le crociate, insomma. Anche i Cinquestelle? Chissà. Probabile: nel 2010 governava Silvio Berlusconi. Visto da Caracas, il classico neoliberale. Distrutta dal fanatismo, sfiancata dalla corruzione, l’economia venezuelana correva veloce verso il precipizio, ma la macchina dell’apostolato ruggiva a pieno regime. 


<HS9>Perché i Cinquestelle? “Rivoluzionari e anticapitalisti”, li descrive il documento uscito su ABC. Di nuovo: se non è vero, è ben pensato. Bastava e avanzava per piacere a Chávez: erano fratelli nella fede, missionari della stessa causa. Era epoca d’intenso turismo rivoluzionario, i voli per Caracas e Quito straboccavano di giovani e intellettuali in pellegrinaggio al laboratorio latinoamericano. Non c’è generazione che non si dia il gusto, che non ci infligga il tormento. Come il chavismo, il castrismo e il peronismo, il grillismo ostentava i tratti tipici del populismo latinoamericano: pauperismo e assistenzialismo, moralismo e millenarismo, sovversivismo e messianismo. Come quelli, s’issava su un piedistallo morale inneggiando alla “santa povertà”, alla svolta francescana contro corrotti e peccatori. E povertà è ciò che quei populismi hanno seminato e raccolto, prima causato e poi lenito, in un ciclo che si autoalimenta all’infinito. Perché stupirsi? Se il “capitalismo” è peccato e la prosperità “vizio”, se l’“egoismo” attenta alla purezza del “popolo”, distruggere la ricchezza sarà più esaltante e pio che estirpare la povertà. Corre voce che i Cinquestelle siano di casa in Vaticano. Nemmeno questo è forse vero. Ma perché no? 
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Il Messaggero