Le prime Olimpiadi a porte socchiuse

Le prime Olimpiadi a porte socchiuse
E niente, le vogliono proprio fare queste maledette Olimpiadi. A porte chiuse per gli stranieri, e socchiuse perfino per i giapponesi. Lo hanno appena confermato, lo scorso week...

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E niente, le vogliono proprio fare queste maledette Olimpiadi. A porte chiuse per gli stranieri, e socchiuse perfino per i giapponesi. Lo hanno appena confermato, lo scorso week end, al termine di un vertice online, i rappresentanti del governo giapponese, del governatorato di Tokyo e dei vari comitati olimpici coinvolti, da quello locale a quello internazionale. Dalle Olimpiadi della ricostruzione, come le aveva definite l'ex premier Shinzo Abe, quando in occasione dell'aggiudicazione, mascherato da Super Mario mentì al suo popolo e al mondo intero sostenendo che l'emergenza (nucleare) era finita, a quelle che dovevano celebrare «la vittoria dell'uomo contro la pandemia» e «l'uscita dal tunnel», come le hanno di recente definite l'attuale premier giapponese Yoshihide Suga ed il presidente del Cio (il Comitato olimpico internazionale) Thomas Bach, le Olimpiadi di Tokyo rischiano di passare alla storia come quelle più costose (oltre 30 miliardi, se basteranno) e assurde della storia.

Uno spettacolo se così possiamo ancora definirlo ingabbiato in mille regole e limitazioni, con atleti e addetti ai lavori (compresi i pochi giornalisti che verranno dall'estero) praticamente in stato di detenzione e tenuti a distanza (anche emotiva) dal pubblico. Olimpiadi apartheid, insomma, per quanto orribile possa suonare questa citazione.

La testardaggine dei giapponesi nel bene e nel male, per carità è nota, ma a questo punto di fronte a quella che localmente sembra una decisione imposta più dagli sponsor (Coca Cola, Toyota, Dentsu, per citare solo i più importanti) che dal mondo politico (molte le voci contrarie) e soprattutto dalla popolazione (i sondaggi parlano chiaro: oltre l'80% dei giapponesi vorrebbero un altro rinvio o la definitiva cancellazione) bisognerebbe avere il coraggio di chiedere conto al Cio, cui tutto sommato spetta la decisione finale. La domanda è molto semplice, è non è solo legata agli aspetti politici, finanziari, logistici, financo sportivi (mi chiedo se e quanto gli atleti siano felici di competere in un simile contesto), ma anche e soprattutto etici e morali.

Che senso ha svolgere le Olimpiadi che dovrebbero essere un momento di gioia, di festa, di celebrazione di valori come l'uguaglianza, la fraternità, la solidarietà (il famoso spirito Olimpico?) mentre il mondo, tutto il mondo, è in guerra? Il Covid sinora ha lasciato sul tappeto quasi 3 milioni di morti e chissà quanti ancora ne lascerà, prima di arrendersi. Solo in Italia abbiamo registrato oltre 100 mila decessi, quasi come tutte le vittime civili durante l'ultima guerra mondiale (138 mila). Molte nazioni sono in lockdown o sotto qualche altra forma di stato d'emergenza (Giappone compreso), viaggiare è diventato un privilegio e un rischio, e l'annunciata palingenesi post-vaccinale sembra ancora lontana: al momento meno di 100 milioni di persone hanno avuto la possibilità di vaccinarsi. Un po' presto, un po' azzardato, un po' irresponsabile definirci «fuori dal tunnel». O no?

Nel frattempo il Giappone (ma non i giapponesi: migliaia di volontari hanno di recente rassegnato le dimissioni, sia per motivi etici che economici, visto che il loro rimborso spese sarà di 8 euro al giorno) tira dritto. Tra pochi giorni, il 25 marzo, partirà dal J-Village di Fukushima, la Coverciano del Giappone, la staffetta della torcia Olimpica. Tra misure di sicurezza degne di un Paese sotto legge marziale nella zona, dove tutt'ora si registrano tassi di radioattività superiori ai limiti di tolleranza stabiliti dal governo, sembra di essere tornati ai terribili giorni dello tsunami e dell'incidente nucleare mille polemiche e defezioni.
Decine di tedofori vip si sono tirati indietro, ed il numero aumenta giorno dopo giorno. Un po' per le imbarazzanti, persistenti battute misogine di alti funzionari del Comitato organizzatore: dopo il presidente Yashiro Mori si è dimesso nei giorni scorsi Hiroshi Sasaki, direttore artistico dei Giochi, per aver definito «bella porcellona olimpica» la popolare, e orgogliosamente sovrappeso, Naomi Watanabe, che doveva essere tra le guest star della cerimonia di inaugurazione (la potete vedere qui, mentre fa il verso al Lady Gaga, https://soranews24.com/2021/03/20/naomi-watanabe-responds-to-olympig-remark-from-tokyo-olympics-ceremony-chief/).

Ma un po' anche perché il comitato organizzatore aveva chiesto alle personalità più importanti, come Atsushi Tamura, sorta di Panariello locale, di correre in zone rurali per evitare assembramenti, insultando al tempo stesso l'amor proprio dei tedofori e quello della popolazione locale.

Sembra che ancora una volta un Giappone oramai da molti anni senza leadership autorevole e illuminata ha perso rischia di perdere, visto che una piroetta last minute non è da escludere l'occasione di passare alla storia come un Paese moderno e responsabile, capace di prendere decisioni difficili e costose, ma dettate dal buon senso e non dalla Toyota.
 

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Il Messaggero