Nodo commissario/ Se il dialogo sull'Emilia può far bene al Paese

Nodo commissario/ Se il dialogo sull'Emilia può far bene al Paese
Il clima particolare che si è instaurato fra premier e governatore dell’Emilia-Romagna è stato notato da quasi tutti e di conseguenza ci si interroga se...

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Il clima particolare che si è instaurato fra premier e governatore dell’Emilia-Romagna è stato notato da quasi tutti e di conseguenza ci si interroga se l’emergenza per la catastrofe dell’alluvione possa portare alla normalità nelle relazioni fra le parti politiche, considerando che Meloni è a capo della destra-centro e Bonaccini è il presidente del Pd.

Il tema è delicato e va trattato con i guanti. Indubbiamente nel gestire un fatto tragico la consonanza di sforzi fra un governo nazionale di destra e un governo regionale di sinistra è un dato rilevante. Siamo anche convinti che non possa essere, come insinuano coloro che tifano contro ogni normalizzazione, il solito momento eccezionale della commozione condivisa a cui poi seguirà presto il ritorno alla solita contrapposizione polemica. 

Uscire da questa emergenza non sarà affare di qualche settimana, né si risolverà con po’ di miliardi messi sul tavolo. Il lavoro e l’impegno avranno tempi lunghi e se non si mantiene la collaborazione fra i due “governi” non si riuscirà nell’impresa di ricostruire, il che avrebbe conseguenze molto pesanti sulla fiducia della gente nelle istituzioni. 

Tanto Meloni quanto Bonaccini sono politici sperimentati e dunque sono consapevoli del rischio che deriverebbe da un crollo di credibilità della politica istituzionale. Se però l’esperimento di leale collaborazione procede e produce risultati avremo un cambio di clima politico: da un lato, per usare un vecchio modo di esprimersi, la destra sarà sdoganata dalla leggenda nera in cui continua ad essere avvolta a prescindere; dal lato opposto la sinistra dovrà riconoscere che il riformismo delle realizzazioni fa premio sul movimentismo imposto dalle mode del mondo della comunicazione. 

Non significa affatto che ciò produrrà un sistema di consociativismo vecchio stile, magari spartitorio, dove scomparirà la dialettica politica, ma che anzi quella dialettica diventerà sempre più una sfida fra chi riesce a fare meglio anziché fra chi le spara più grosse.

Sarà un percorso ad ostacoli, perché né la destra-centro, né la sinistra-centro sono compatte nell’adattarsi a questa ipotetica prospettiva di evoluzione, la quale spiazzerebbe non pochi dei rispettivi opinion leader e politici che si vedono a rischio di perdere il posto conquistato sul palcoscenico a suon di radicalizzazioni polemiche. 
Il primo problema che sta venendo a galla è chi potrà intestarsi i progressi nella ricostruzione per trasformarli in incrementi di voti: ci sono le elezioni europee fra un anno, e poi fra due quelle regionali in Emilia-Romagna. Di qui le tensioni neppure tanto sotto traccia sulla nomina del commissario alla ricostruzione.
I rumors sono che Salvini non voglia Bonaccini, gradito alla Meloni, perché punta su un uomo del suo partito che diverrebbe così il candidato con ottime chance per riscattare la debacle dell’attuale leader leghista nella tornata del 2021, quando era convinto di espugnare la fortezza rossa e sbatté contro un muro di consensi per il ricandidato presidente della regione. Salvini ha smentito, ma si sa che in politica le smentite spesso convalidano i sospetti. Del resto Bonaccini non può ricandidarsi per un terzo mandato, ma certo con un suo successo nella ricostruzione sarebbe in grado di sottrarre la scelta del candidato del Pd regionale alla Schlein e compagni mantenendola nelle mani dei riformisti. Se il governo vuole però sfruttare nel migliore dei modi questa opportunità di cambiamento di clima è opportuno che nella scelta del commissario si orienti per una figura fuori non solo dei riferimenti ai partiti, ma addirittura lontana dalla possibilità di vedersi inquadrato in essi. Bonaccini ha lasciato intendere di essere d’accordo, e Meloni può ricordarsi quanto indovinata fu la scelta di Draghi di affidarsi per la gestione dell’emergenza pandemica al generale Figliuolo, personalità non solo allora estranea al mondo dei “riferibili” a questo o a quello, ma che ha mostrato, tornando al suo lavoro una volta finito l’incarico straordinario, la sua lontananza dalle sirene dei palcoscenici (dote rara, ci permettiamo di rilevarlo).
C’è un altro condizionamento che incombe su questa fase della nostra vita politica: il fatto che per tacitare i più o meno interessati critici dell’instaurarsi di un confronto maturo sul fare anziché sul dire cose di destra o di sinistra, si accentuino le iniziative per piantare bandierine. Si va dall’esasperazione dello spoils system nell’ambito della destra-centro alla acquiescenza alle mitologie movimentiste nell’ambito della sinistra (vedi difese acritiche delle intemperanze ambientaliste o larvate giustificazioni di ogni contestazione anche prevaricatrice). 

Si capisce che la preoccupazione di molti è che un clima politico che mette da parte le scomuniche ed intemerate reciproche faccia calare la volontà di partecipazione alle competizioni elettorali, perché, se hai contendenti tutti sostanzialmente accettabili e che mostrano di non voler prevaricare, la gente non sarebbe invogliata a scegliere. 

È però un modo sbagliato e fallace di vedere il confronto politico, non fosse altro perché non aiuta la stabilità del sistema e la capacità di allargare il perimetro della legittimazione delle scelte che si devono fare (un aspetto tutt’altro che secondario in momenti come questi di transizione sociale, economica e politica).


Insomma quel che sta succedendo, purtroppo sulla spinta di una tragedia che peraltro segue il periodo di grande difficoltà dovuto alla pandemia, potrebbe essere foriero di sviluppi positivi, utili non solo per la nostra convivenza democratica (e non è poco), ma anche per la nostra collocazione e affidabilità europea ed internazionale. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero