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Che Paese siamo? Siamo un Paese che ha fatto di tutto, dall’entrata nell’euro in poi, sia pure con tutti gli errori connessi a quel passaggio storico, per darsi una credibilità, per mostrare uno standing che molti ci negavano (vedi la famosa scena della risatina in tandem Merkel-Sarkozy nel 2011 per umiliare Berlusconi ma che umiliò tutta l’Italia e che ancora fa rabbia a chi se la ricorda), per dare un’immagine di noi stessi che uscisse dal cliché del folklore, dalla caricatura dell’italietta, dalla commedia dell’arte, dalla triste condizione per cui - nel caso di crisi internazionali - nessuno sapeva con chi bisognasse parlare nel nostro Paese visto che a Palazzo Chigi un giorno c’era uno, il giorno dopo un altro e poi un altro ancora tra governi ballerini o balneari, ribaltoni e convulsioni e altre astruserie.
Vogliamo tornare all’Italia carnevalesca? Evidentemente sì.
Riportare l’Italia a ballare nel nulla, sprofondarla nella sua bolla autoreferenziale, sottoporla alla legge eterna del Papeete che si ripropone, si riproduce e si rinnova con altre forme altre fogge e altri colori ma sempre con lo stesso significato (la pulsione distruttiva e la lucida determinazione a infischiarsene dell’interesse generale) è quanto di più grave possa esserci. È uno schiaffo in faccia alla vita di noi tutti. Significa anteporre il piccolo cabotaggio di un ceto politico grillino nella sua fase terminale e il passato di una illusione (quella del populismo che si è rivelato nemico degli interessi del popolo) alla proiezione futura di un Paese bisognoso di ricominciare dopo il Covid e che si trova a vivere in un quadro mondiale tutto nuovo nel quale chi si ferma è perduto.
La crisi di governo più vecchia che si possa concepire, nelle sue modalità, nelle formule insignificanti (verifica rimpasto Aventino appoggio esterno) contrasta con quell’urgenza di modernità di cui ci sarebbe bisogno. Non c’è niente di più imperdonabile del maneggiare un momento storico come se fosse una farsa, facendo pagare il costo di questo brutto spettacolo a un pubblico che chiede tutt’altro. E non merita di vivere nell’Italia di Pulcinella. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero