Bonafede e gli innocenti/ Il ministro che scivola sul carcere

Bonafede e gli innocenti/ Il ministro che scivola sul carcere
Com’era immaginabile, l’infelice frase del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che «gli innocenti non finiscono in carcere» ha sollevato feroci...

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Com’era immaginabile, l’infelice frase del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che «gli innocenti non finiscono in carcere» ha sollevato feroci critiche e imbarazzati dissensi. Il povero ministro ha chiarito che si riferiva «in quel contesto, a quelli che vengono assolti». Il che è come dire che il signor de La Palisse un quarto d’ora prima di morire era ancora in vita. È ovvio infatti che chi è assolto non finisce in galera. 


È anche ovvio, però, che molti poveretti vi sono finiti salvo poi essere clamorosamente scagionati. Al netto della goffa difesa del ministro, va comunque detto che «nel contesto» di quella trasmissione, dove si parlava di prescrizione, questo problema non c’entrava nulla. La prescrizione infatti incide sulla lunghezza dei processi, non su quella della carcerazione preventiva di chi alla fine viene scagionato, e quindi probabilmente è a questo che il Guardasigilli si riferiva. 

Ma nell’attuale imbarbarimento della giustizia e della sua comunicazione, di cui Bonafede è in buona parte responsabile, la nemesi si è rivolta contro di lui. Il ministro non voleva certo negare gli errori giudiziari dai quali derivano risarcimenti per l’ingiusta detenzione che dal 1992 sono stati ben 27 mila con un costo complessivo di circa 700 milioni di euro. Bonafede si è semplicemente espresso nella foga emotiva simile a quella di Salvini quando quest’ultimo ha invocato i pieni poteri senza per questo auspicare un nuovo balcone a palazzo Venezia. Nell’era dei twitter e degli slogan questi accidenti accadono: poi ognuno li cavalca come meglio gli conviene. 
Quello che di grave vi è nell’atteggiamento del ministro non è dunque un’espressione maldestra in cui non crede neanche lui. E’ piuttosto la dilettantesca superficialità con cui si affrontano materie così delicate, che dovrebbero esser trattate con pacato e competente raziocinio. Questa superficialità, che alla fine si esprime con queste frasi infelici, non dipende tuttavia da una pigra negligenza, ma affonda in quella cultura acriticamente repressiva di cui Bonafede è forse una vittima, più che un protagonista, perché qualcuno gli ha comunicato idee tanto bizzarre. Quelle idee per cui non esistono politici innocenti ma solo colpevoli che l’hanno fatta franca; quelle per cui il difensore è una presenza superflua, per non dire un interlocutore molesto o addirittura un complice del reo; quelle per cui anche il giudice talvolta è irrilevante , perché basta il Pm a garantire la legalità; quelle per cui anche l’appello è uno spreco di tempo, che comunque non va più devoluto a un organo collegiale ma a un singolo magistrato, così si abbreviano i processi. E potremmo continuare. 

Questi rosari di belle pensate non sono, purtroppo, solo belle pensate. Sono oggetto di corrucciati dibattiti, di penitenziali ammonimenti e persino di progetti legislativi. Non solo. Son presi addirittura sul serio da chi, invece di chiamare gli infermieri ( per la Giustizia, s’intende, non per i loro autori) si limita a timide dissociazioni o a verecondi silenzi per non compromettere gli equilibri governativi, a costo di smentire la propria storia. Che altro infatti potremmo dire di un Partito Democratico che ai tempi di D’Alema e del progetto Boato proponeva in Commissione Bicamerale un solido e radicale indirizzo garantista, e ora annaspa nell’affannosa ricerca di un compromesso sul quel mostro che è la sospensione della prescrizione?


Ecco, questa, e non la voce dal sen fuggita è la colpa di Bonafede e di chi gli sta dietro: una continua, ininterrotta, e pubblica adesione a progetti che avviliscono quel poco civiltà giuridica che ci rimane, e che mira a trasformare la presunzione di innocenza in un favola vuota. Infischiandosene, come spesso accade quando si piega il diritto alle proprie convenienze, di un principio consacrato nella “Costituzione più bella del mondo”.
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Il Messaggero