Nuova autonomia e vecchi trucchi: Roma è ignorata

Nuova autonomia e vecchi trucchi: Roma è ignorata
Perché è così importante discutere con attenzione - dentro e fuori il Parlamento - la proposta di legge-quadro sull’autonomia regionale differenziata,...

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Perché è così importante discutere con attenzione - dentro e fuori il Parlamento - la proposta di legge-quadro sull’autonomia regionale differenziata, predisposta dal ministro Boccia? Perché non è opportuna una sua rapida approvazione, tantomeno nel quadro della legge di bilancio? Perché la legge tocca aspetti fondamentali del funzionamento dell’intero Paese. 


In primo luogo perché affronta il delicatissimo tema delle risorse necessarie per finanziare i servizi per i cittadini. L’Italia ha deciso di darsi regole per quantificare i costi che devono essere sopportati dalle Amministrazioni Pubbliche per le loro funzioni, in modo da assicurare equità di trattamento di tutti gli Italiani e promuovere l’efficienza nel loro uso. Definirle, richiede un percorso difficile: non solo tecnicamente, ma anche politicamente, specie in un periodo di risorse pubbliche decrescenti.

Queste regole infatti diventano criteri di riparto su base territoriale di un totale disponibile che spesso è insufficiente. Creano per propria natura contrapposizioni fra territori: ne abbiamo avuto una prova con il “federalismo comunale” che ha portato a inaccettabili disparità (i servizi di cui puoi teoricamente godere sono diversi a seconda della regione in cui vivi) e ad un percorso attuativo che ora sembra destinato a proseguire per altri dieci anni.

Su questo quadro è piombata la richiesta politica delle Amministrazioni Regionali di Lombardia e Veneto di approfittare della possibilità di autonomia differenziata per ottenere risorse molto maggiori rispetto agli altri. E’ evidente che il tema è esplosivo. Per fare solo un esempio non sembra opportuno (come recita l’art. 1.1.d della bozza di legge-quadro Boccia) che si possa procedere con il finanziamento di nuove funzioni assegnate ad alcune regioni senza aver prima definito i “livelli essenziali delle prestazioni” per tutti gli Italiani.

In secondo luogo perché non si sta parlando di un caso particolare per una regione particolare (come nella richiesta del 2003 della Toscana sui beni culturali). Con una iniziativa tutta politica Lombardia e Veneto hanno chiesto ogni competenza possibile, l’Emilia quasi. E quindi le richieste regionali di cui si sta discutendo toccano quasi tutte le più importanti funzioni pubbliche, dalla scuola alle infrastrutture.

Ora, nella bozza Boccia si parla (art. 1.1.c) di “sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza” delle materie richieste. E’ sufficiente? Anche questo problema è enorme. Nelle bozze delle Intese predisposte con il precedente Governo non venivano mai spiegati i motivi in base ai quali la tale regione potesse acquisire la tale competenza. In questo modo tutte le regioni possono ottenere tutte le competenze teoricamente possibili. Ma questo cambia radicalmente il volto all’Italia (e cambia implicitamente l’art. 117 della Costituzione).

Alternativamente, si può creare una situazione “arlecchino” con regioni con enormi poteri e altre invece in cui opera lo Stato. In entrambi i casi con rovinose conseguenze per il ruolo di Roma che già la bozza leghista aveva provato a svuotare di poteri e ricchezza. Si badi: le Regioni hanno il diritto di chiedere tutto, ma è il Parlamento che decide se e quanto. Su questo, non si è nemmeno cominciato a discutere. E per questo, sorprende poco che le Regioni siano d’accordo con la Bozza: dà comunque loro più poteri. Ma questo è nell’interesse generale?

Infine, gli aspetti giuridici e procedimentali. Lasciando a chi ne ha le competenze il tema della configurazione e modalità opportune di un provvedimento-quadro, resta il nodo fondamentale. Proprio perché le competenze richieste sono enormi, è essenziale che sia il Parlamento a poter approvare ogni specifico aspetto delle eventuali Intese fra Governo e regioni. Un ginepraio. Dove siamo finiti perché le tre regioni hanno provato ad operare una forzatura, con testi di Intese assai favorevoli per loro sotto il profilo finanziario, estesissime come materie e rispetto alle quali il Parlamento avrebbe potuto dire solo sì o no. Per fortuna quella forzatura, e quelle Intese, non si sono concretizzate. La bozza mira a correggere quel percorso. Va dato atto al Ministro di un grande impegno. 


Ma è davvero possibile? E’ lecito pensare che si potrebbe iniziare da tutt’altra parte. Da un lato, attuare finalmente la legge 42 sul federalismo fiscale e stabilire criteri e modalità di finanziamento dei servizi, per tutti; ottenuti i quali non ci sarebbero più scuse per amministratori inefficienti. Dall’altro lavorare su quelle richieste regionali che rappresentano utili flessibilità amministrative, opportune possibilità di differenziazione: e concederle anche rapidamente. Senza scomodare l’attuazione dell’art. 116 (gli strumenti ordinari non mancano, come sottolineano gli studiosi più attenti) e senza modificare gli aspetti finanziari. Una concreta risposta politica a richieste di efficienza. Ma questo significa cambiare tutta la storia: non confrontarsi più con una “secessione dei ricchi”, ma puntare ad un’Italia più equa, con amministrazioni più efficaci. Questa sì, sarebbe una scelta politica chiara e alternativa. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero