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La differenza tra un visionario e un profeta la determina solo il tempo. Il tempo di verificare se la profezia si avvera e se la visione resta solo negli occhi di chi l’ha vista. Più il tempo passa, più la figura di Adriano Olivetti diventa profetica. La vita delle imprese è sempre più “olivettiana”, sempre più “comunità” di persone e di territorio. Dall’azienda al territorio è il percorso che sta compiendo anche la parabola del moderno welfare aziendale. «Le imprese si stanno accorgendo che il territorio in cui sono insediate è un bene comune» spiega Paolo Venturi, direttore di Aiccon, il Centro studi promosso dall’Università di Bologna e dall’Alleanza delle cooperative italiane; attento osservatore delle dinamiche delle imprese e delle comunità territoriali, studioso del Terzo settore e delle imprese sociali.
SPAZIO E LUOGO
«Il welfare aziendale non può che allargarsi alla dimensione territoriale» continua Venturi, intravvedendo in questa dinamica – già visibile in epoca pre-Covid – un’accelerazione simile a quella che altri settori stanno sperimentando come effetto dell’emergenza sanitaria e del cambio di paradigma imposto con le nuove abitudini comportamentali. «Il luogo è uno spazio dotato di significato, capace di produrre valore – aggiunge Venturi – e i temi del welfare, integrato e aziendale, contribuiscono a rendere rilevanti i luoghi. L’emergenza sanitaria ha imposto all’attenzione la dimensione territoriale. Il territorio non è una mappa, è l’ecologia delle relazioni che si manifestano in uno spazio geografico, qualificandolo». Per Paolo Venturi il welfare aziendale è destinato a diventare comunitario, territoriale. Non solo perché favorisce e favorirà sempre di più la distribuzione di servizi e di benessere nel territorio, ma anche perché in questo modo renderà agibile la rigenerazione dei luoghi. «Gli spazi si riqualificano, i luoghi si rigenerano» ci tiene a sottolineare Venturi. «Ci sono molti spazi nelle nostre città che richiederebbero una nuova destinazione d’uso, perché sono stati pensati e costruiti con logiche novecentesche, oggi improponibili.
I DATI ISTAT
«Nel 2018 - si legge - 712 mila imprese (68,9% delle imprese con 3 e più addetti) dichiarano di essere impegnate in azioni volte a migliorare il benessere lavorativo del proprio personale; 688 mila (66,6%) svolgono azioni per ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività; 670 mila (64,8%) si sono attivate per migliorare il livello di sicurezza all’interno della propria impresa o nel territorio in cui operano. Rispetto al rapporto con altri soggetti e con il territorio, quasi un terzo (31,3%, ossia 323 mila imprese in valore assoluto) sostiene o realizza iniziative di interesse collettivo esterne all’impresa; una quota analoga di imprese supporta o realizza iniziative a beneficio del tessuto produttivo del territorio in cui opera (303 mila imprese, pari al 29,4%)». L’attenzione alla sostenibilità sociale (che include le azioni realizzate per il benessere lavorativo e la sicurezza) e ambientale (azioni per ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività) assume intensità diverse ma sta diventando una costante attenzione ai territori. E’ in qualche modo una nuova versione aggiornata dei distretti industriali: «Là era centrale la filiera produttiva, collegata in una rete territoriale; qui la produzione lascia spazio alla conoscenza; le infrastrutture culturali e sociali sono la precondizione dell’innovazione» continua Venturi. Che rilancia i temi della coesione come condizione della competizione, come riproposto di recente dalla Fondazione Symbola. «Le imprese coesive sono quelle che vantano maggiori e più intense relazioni con i dipendenti, con gli stakeholder, con le scuole, con gli enti pubblici. E questa coesione favorisce il buono stato di salute delle imprese, aumenta il fatturato e accresce la sostenibilità».
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