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La diffusione del Coronavirus e le relative misure precauzionali adottate fanno emergere riflessioni e approfondimenti da parte della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro. Molti i lavoratori ora assenti per quarantena, malattia o paura del contagio, aziende chiuse o ordinanze con divieto di circolazione. Ma quanti sarebbero dunque i possibili lavoratori occupabili in smart working?
La modalità di lavoro in smart working, portata al centro dell’attenzione dall’emergenza Coronavirus con il DPCM del 25 febbraio 2020, è largamente applicata in Europa, ma non in Italia. Secondo Eurostat il lavoro agile nel nostro paese è ancora molto poco diffuso, il 2% nel 2018, pari a 354 mila persone, percentuale più bassa d’Europa (poco sopra Cipro e Montenegro), ma anche la più distante da Paesi come Regno Unito (20,2%), Francia (16,6%) o Germania (8,6%). Per non parlare di quelli del Nord Europa, dove la quota di lavoratori che possono lavorare da casa anche con flessibilità oraria sale al 31% in Svezia e Olanda, 27% circa in Islanda e Lussemburgo, 25% in Danimarca e Finlandia.
Eppure sono 8 milioni 359 mila i lavoratori dipendenti potenzialmente occupabili in smart working.
“Il lavoro agile rappresenta un vero e proprio modello organizzativo per le aziende e necessita di un approccio e di strumenti gestionali diversi da quelli ordinari o emergenziali”, evidenzia il Presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca. “Se da un lato sono evidenti i benefici per il dipendente che lavora da casa in termini di conciliazione vita privata e lavoro, riduzione dei tempi e dei rischi legati allo spostamento casa-lavoro – continua –, dall’altro lato, l’adozione di questo modello implica da parte delle aziende uno sforzo organizzativo rilevante in termini di investimento tecnologico; revisione dei processi di lavoro, formazione e valutazione dei dipendenti e soprattutto il superamento delle naturali diffidenze che possono sussistere da parte del management e degli stessi lavoratori”. L’organizzazione del lavoro agile non risulta dunque così semplice, implica una rivoluzione di approccio sia dal punto di vista sociale che economico finanziario in grado di ammortizzare questo cambiamento strutturale. “Ben vengano, dunque, in questo frangente provvedimenti d’urgenza volti a favorire il lavoro agile, ma è assolutamente necessario implementare questa modalità lavorativa con interventi più strutturali e mirati, volti ad incentivarne l’utilizzo e a risolvere anche alcune ambiguità normative, come quelle legate al tema della sicurezza, che ancora ne ostacolano la diffusione”, conclude De Luca.
L'articolo Smart working: emergenza o cambiamento necessario? proviene da WeWelfare.
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