Il Salento è di moda, i brand del lusso mettono radici. Lvmh rileva il 40% di Filograna

Salvatore Toma, Confindustria Puglia: competenze e storia dei territori fanno la differenza

Salvatore Toma
Avances milionarie e creazioni d’èlite. Ascolta: Un milione di dipendenti statali in pensione, con una sfida: rimpiazzare i pensionandi ...

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Avances milionarie e creazioni d’èlite.

Seppur in leggero affanno, il mondo del luxury fashion prova a mettersi al riparo proteggendo le filiere locali, come quella pugliese - in cui produce tanti dei suoi “gioielli” - anche attraverso acquisizioni dirette. Una sfida, un’opportunità per l’industria del Tacco d’Italia, che pure sta subendo il contraccolpo del rallentamento dei grandi brand. Ma quale sarebbe la prospettiva? I risultati fin qui ottenuti spingono le case di moda a credere che non sia un azzardo. Il territorio tarantino, il nord Barese ma, in questa fase, soprattutto il Salento. Negli ultimi 12 anni il settore moda della provincia di Lecce ha espresso un tasso di crescita in grado di insidiare anche i solidi bacini di Veneto e Toscana. Rapida ed estesa è stata in particolare la progressione del calzaturiero che ha reso al Salento il rinnovato profilo di “sneakers valley”, concettualmente differente dall’estinto distretto calzaturiero che i “padri” degli attuali protagonisti imprenditoriali eressero 60 anni fa. E le fabbriche di abiti, tessuti e scarpe si sono popolate di giovanissimi, formati anche prima del termine dei percorsi di istruzione professionale. Basta recarsi alla Manifattura Salento Af di Alessano per accorgersene: è la fabbrica che un anno e mezzo fa Antonio Filograna Sergio ha ricavato in un capannone attiguo alla manifattura tabacchi in via di ristrutturazione. È qui che Bernard Arnault, numero uno di Lvmh e tra gli uomini più ricchi al mondo, tramite la controllata Manufactures Dior ha investito direttamente le prime sue risorse nel Salento, accaparrandosi il 40% delle azioni della società che presto potrebbe diventare interamente controllata. Come la “Antonio Filograna”, che produce le calzature Dior. E tanto vale per Aeffe Lux. Tutte aziende create da Filograna all’ombra di Leo Shoes, cuore del polo produttivo di Casarano, in cui l’imprenditore tratta 23 brand e fattura oltre 200 milioni di euro.

IL FUTURO

Manodopera anche giovane e qualificata, erede di un retroterra professionale e culturale popola ormai tutte le realtà più strutturate del calzaturiero made in Salento, come Gianel Shoes (che produce in esclusiva per Dolce&Gabbana), Sud Salento (per Gucci) o la ex Italian Fashion Team che, due anni fa, Golden Goose (pronta a sbarcare in Borsa) ha rilevato. Lo stesso vale per l’abbigliamento, con Barbetta - oggi del Gruppo Florence - “regno” di Kering, e Gda, che di recente ha contribuito a impreziosire con 154mila swarovski i capi di Damiano David e di Taylor Swift. Saper fare: per chi si domanda cosa spinga i grandi brand a puntare sulla Puglia, ecco la prima risposta. Che potrebbe generarne subito un’altra, di tipo economico (retribuzioni più contenute), ma solo parzialmente decisiva se si considera un costo che molte imprese pugliesi sono costrette a sostenere: quello della carenza di infrastrutture (strade, scali ferroviari, collegamenti rapidi con porti e aeroporti) e di aree industriali attrezzate e tecnologiche. Un gap che la politica delle Zone economiche speciali sta provando a ridimensionare. «Know how, competenze e storia dei territori fanno la differenza, non il basso costo della manodopera, che tra l’altro tale non è, perché qui non produciamo fast fashion ma lusso», spiega il presidente della sezione Moda di Confindustria Puglia, Salvatore Toma, presidente di Toma Italian Brands. «Sulle competenze stiamo lavorando tanto affinché siano tramandate a un bacino sempre più ampio di giovani. La manualità che vantiamo è molto rara». Non un fenomeno provvisorio, dunque: «L’interesse per la Puglia è lo stesso che i grandi brand hanno sviluppato per la pelletteria in Toscana e Veneto. E avrà lunga durata se sapremo garantirgli sfogo anche in termini di sostenibilità. Perché questo è il futuro del lusso. E sarà pure il nostro».

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