Un reddito minimo per i disoccupati in povertà: ecco il bonus da 1,6 miliardi

Un reddito minimo per i disoccupati in povertà: ecco il bonus da 1,6 miliardi
Il Def delle tasse si è trasformato in ventiquattrore nel Def del tesoretto, o del bonus, per dirla renzianamente. La caccia subito scattata per assicurarsi quel miliardo e...

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Il Def delle tasse si è trasformato in ventiquattrore nel Def del tesoretto, o del bonus, per dirla renzianamente. La caccia subito scattata per assicurarsi quel miliardo e seicento milioni - nella quale ogni soluzione sembra essere la migliore ovviamente per chi la propone - non fa che alimentare la narrazione del premier che ieri l'altro ha inaugurato la stagione del “dividere” archiviando quella del “taglio e delle tasse”.




LE IPOTESI IN CAMPO

E' però evidente che mai come in questo caso più che la destinazione è interessante interrogarsi sui tempi e intrecciare le scelte con l'agenda del presidente del Consiglio. La prossima settimana Renzi prevede due appuntamenti in Liguria e uno in Veneto. L'ufficiale avvio della campagna elettorale del segretario del Pd, nonché presidente del Consiglio, è fissata per domenica prossima con una doppia iniziativa prima a Venezia per sostenere Casson e poi a Genova per tirare la volata alla Paita. Salire sul palco potendo sostenere che il governo si appresta a distribuire risorse per combattere la povertà, significa per Renzi tagliare l'erba sotto i piedi della minoranza del Pd e, soprattutto, di Lega e M5S. Renzi sa che il risultato delle amministrative di fine maggio gli verrà messo in conto in due modi. Ovvero per numero di regioni vinte o perse (sulle sette che vanno al voto), e per le percentuali che il Pd prenderà rispetto alle Europee dello scorso anno. L'occhio del premier, sondaggi alla mano, è puntato sul M5S che, malgrado le tensioni interne, continua a restare saldamente al secondo posto anche grazie alla liquefazione di FI e alle difficoltà che ha la Lega di sfondare a sinistra.



È per questo che sul tavolo del governo sarebbero rimaste sostanzialmente due ipotesi di lavoro. La prima, quella di estendere il bonus di 80 euro agli incapienti - ossia ai lavoratori che guadagnano meno di otto mila euro l'anno - si starebbe dimostrando alla prova dei fatti difficilmente realizzabile. Il costo a regime è elevato, circa 4 miliardi di euro a fronte di una disponibilità, annunciata dal governo tutta e ancora da contabilizzare, di 1,6 miliardi di euro.



Meglio quindi restringere l'obiettivo e concentrarsi sulle vere sacche di povertà. Magari potenziando l'Asdi, la tutela introdotta per chi perde il lavoro per il jobs act e ha già usufruito delle altre forme di ammortizzatori. Attualmente si tratta di un assegno di un po' meno di 500 euro al mese per sei mesi. Sul piatto di questa misura, al momento, il governo ha messo 200 milioni di euro e aggiungere 1,6 miliardi del tesoretto, potrebbe permettere di prolungare la misura nel tempo e allargare la platea. La seconda ipotesi, politicamente più sostanziosa, è quella di trasformare l'Asdi in un vero e proprio reddito minimo.



REDDITO DI CITTADINANZA

Una misura, questa molto simile al reddito di cittadinanza che il M5S propone di estendere a tutti e che invece il governo delimita ad una categoria molto precisa di indigenti, sperando magari di poter ampliare la platea. I requisiti richiesti per poter usufruire del reddito sarebbero molto stringenti, come essere un capo famiglia ultra cinquantenne che ha perso il lavoro, con figli a carico e privo di altro reddito. «Se questa fosse la soluzione prescelta - spiega Filippo Taddei, responsabile economico del Pd - verrebbe comunque legata ad una rigorosa prova dei mezzi tramite il nuovo Isee e sarebbe condizionata all'adesione dei beneficiari dell'assegno alle politiche attive del lavoro».



Il reddito minimo, insomma, non dovrebbe diventare una misura di assistenzialismo, ma permettere a chi ne usufruisce di formarsi nuovamente e reinserirsi nel mondo del lavoro. Poter disporre, nella parte finale della campagna elettorale, di una misura che molto si avvicina al reddito di cittadinanza invocato dai pentastellati, significa per Renzi mostrare al suo elettorato che l'obiettivo redistributivo e di aiuto alle fasce deboli resta prioritario per un partito di sinistra. Le regionali di maggio sono vere e proprie elezioni di mid-term visto che poi si dovrà attendere il 2018 per avere un'altra tornata elettorale significativa.



Superare questo scoglio significa per Renzi chiudere la prima fase della legislatura e tornare magari ad imbracciare di nuovo l'ascia per mettere da parte un altro ”tesoretto” in vista delle elezioni politiche. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero