Obiettivi difficili ma tutto sommato realizzabili. Li pone all'Italia, non in generale ma con cifre ben precise, il governatore della Banca d'Italia nelle sue...
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Le parole di Ignazio Visco si riferiscono a esercizi di calcolo illustrati in dettaglio nel testo completo della Relazione. Per quanto riguarda la crescita, il punto di partenza è la situazione demografica sfavorevole, che può essere almeno in parte contrastata da tendenze positive già in atto, ovvero l'aumento dell'occupazione femminile e l'allungamento delle carriere lavorative indotto dalle riforme pensionistiche. Assumendo che il tasso di disoccupazione scenda gradualmente al 9 per cento, con un numero di ore per addetto tornato ai livelli del 2019, il monte ore lavorate potrebbe dare un contributo alla crescita del Pil dello 0,7% nel decennio 2023-2032. Per arrivare all'1,5 serve quindi un altro 0,8 in termini di maggiore produttività. Quasi un punto. Qualcosa di meno di quello che è effettivamente successo tra il 1986 e il 1995, mentre negli anni successivi il progresso è stato molto più modesto. Guardando anche alle esperienze internazionali, è un risultato possibile.
Se questo ritmo di crescita sarà centrato, in presenza di un'inflazione poco al di sotto del 2 per cento, di uno spread con il Bund decennale tedesco rientrato a 100 punti base (valore realistico rispetto ai fondamentali del Paese) e di un avanzo primario all'1,5 per cento del Pil almeno da metà periodo, il rapporto tra debito e prodotto interno lordo si ridurrebbe nello stesso decennio di circa due punti l'anno. In questo modo l'inevitabile esplosione del debito legato all'amergenza Covid sarebbe tamponata e la situazione tornerebbe sotto controllo. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero