Affide rilancia il prestito su pegno e punta sul tesoretto degli italiani

Affide rilancia il prestito su pegno e punta sul tesoretto degli italiani
Dopo aver rilevato le attività del ramo pegni di Unicredit nel 2018 per 141 milioni di euro, Affide punta a crescere in Italia. Con circa 270 milioni di prestiti e 350mila...

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Dopo aver rilevato le attività del ramo pegni di Unicredit nel 2018 per 141 milioni di euro, Affide punta a crescere in Italia. Con circa 270 milioni di prestiti e 350mila contratti attivi, il gruppo che fa capo alla casa d’aste austriaca Dorotheum controlla circa un terzo del mercato della Penisola del prestito su pegno, anzi «su stima» come preferisce definirlo.


Affide, che prima si chiamava Custodia Valore, ha 9 agenzie nel Lazio, fra cui la sede storica di piazza del Monte di pietà a Roma appena ristrutturata, e 33 in tutta Italia dove vengono firmati circa 300-400 contratti al giorno.
Il credito su pegno, attività con secoli di storia nata a Perugia alla fine del ‘400, non richiede particolari garanzie, come invece un prestito personale. L’unica è quella del bene impegnato, che rimane di proprietà del cliente. È una forma di finanziamento che funziona così: si dà in pegno un gioiello o un altro oggetto di valore e in cambio si ottiene liquidità, anche poche decine di euro, a un tasso di interesse intorno al 9% (circa 14% con le spese). Se dopo il periodo stabilito, che può andare da 3 a 12 mesi, il proprietario non riesce a riscattare il bene lasciato in garanzia l’oggetto andrà in asta (succede solo nel 5% dei casi). Se dalla vendita si riesce a incassare una cifra più alta di quella impegnata il guadagno, dopo aver ripagato gli interessi, andrà al proprietario.


«Una fonte onesta e sempre disponile di credito», dice Andreas Wedenig, direttore generale della società. «È un settore che le banche stanno dismettendo ma che non va mai in perdita». Affide punta in particolare a sfruttare il piccolo tesoro inutilizzato nascosto nelle case degli italiani: collanine, bracciali, anelli, orologi usati raramente e che secondo una Ricerca Doxa commissionata dalla società valgono circa 2.000 euro a persona. Un patrimonio di oggetti preziosi, soprattutto quelli con basso valore affettivo, che potrebbe essere utilizzato per ottenere liquidità. 
j.o. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero