(Teleborsa) - Due anni per tornare ai livelli di PIL stimati fino a gennaio scorso, ossia ai livelli pre-coronavirus e un milione di imprese a rischio. Questo lo scenario...
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Poco più della metà delle imprese e dei suoi lavoratori non si sono fermati. In particolare, secondo l'elaborazione, i provvedimenti di sospensione hanno fermato 2,3 milioni di imprese nell'industria e nei servizi (il 48,2% del totale), il cui peso in termini di fatturato in un anno è pari a 1.321 miliardi di euro (il 42,4% del totale del fatturato dell'industria e dei servizi). Le imprese 'attive' risultano 2,47 milioni, con quasi 9,4 milioni di lavoratori. I lavoratori fermi 7,3 milioni, (su un totale di 16,7 milioni di addetti). "Nonostante tutto va visto il bicchiere mezzo pieno, perché le giuste misure di contenimento del coronarivus non hanno bloccato l'intera economia", dice il Presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini, sottolineando il "contributo fondamentale" delle cooperative, che "non delocalizzano, ma creano lavoro e ricchezza in Italia".
"In condizioni di urgenza straordinaria il sistema necessita di misure straordinarie, coraggiose e soprattutto veloci che consentano di non spegnere i motori. Di qui la necessità di mettere in campo "meccanismi che garantiscano liquidità immediata a tutte le imprese", sottolinea ancora. "Vanno tenuti accesi i motori del sistema imprenditoriale - prosegue - per consentire la ripartenza appena sarà possibile e cercare il rimbalzo necessario per il nostro Pil. In caso contrario rischiamo di uscire da questo lockdown lasciando sul tappeto almeno il 20% delle imprese, poco meno di un milione di PMI, con conseguenze indescrivibili in termini di fatturato, occupazione e tenuta sociale del Paese". E, a proposito di liquidità, "vanno saldati tutti i debiti della Pa", conclude Gardini. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero