Preparatevi a un'ondata di mega-fusioni come quella che investì il settore petrolifero nel 1998, quando il barile crollò a 10 dollari per effetto della crisi asiatica. Dopo...
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Era da dieci anni che Shell non celebrava una fusione di questa entità. Le big puntano tramite le acquisizioni a ridurre i costi e a consolidarsi in settori specifici per far fronte al deprezzamento del petrolio. Sottoposte a uno stress finanziario che rischia di diventare insostenibile se il barile dovesse perdere ulteriormente quota, le major vedono nella strategia delle super-fusioni un modo per adattarsi al mutuato contesto. Oggi tra le prede più appetibili figurano compagnie di medie dimensioni come la britannica Tullow Oil e la texana Anadarko. Ma non solo. Il gigante Exxon, forte dei 350 miliardi di dollari che ha in cassa in azioni proprie, nel recente passato ha posato lo sguardo persino su un colosso come British Petroleum.
Più prudente Eni, attualmente in cerca di un nuovo equilibrio. L'ad Claudio Descalzi ha detto in più di un'occasione che al momento non sono previste fusioni, pur precisando che non è possibile escluderle del tutto. Pechino sta invece studiando una possibile super-fusione tra grandi compagnie petrolifere statali e più precisamente tra la Cnpc (China National Petroleum Corp) e la sua rivale nazionale China Petrochemical Corp (Sinopec). O, in alternativa, tra la Cnooc (China National Offshore Oil Corp) e la Sinochem Group. Nel 1998, con il barile a dieci dollari, il valore delle fusioni e acquisizioni aumentò di sette volte. È allora che nacquero le super-major. Exxon si fuse con Mobil. Chevron con Texaco. Bp con Amoco. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero