Pensioni, taglio per 500mila assegni: effetto Pil

Il crollo dell’economia nel 2020 penalizza la quota contributiva dei nuovi trattamenti. Il paracadute introdotto dalla legge evita una piccola parte della perdita potenziale

L’ufficializzazione è arrivata una decina di giorni fa con una nota dell’Istat: il crollo dell’economia nel 2020 avrà un effetto indiretto e...

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L’ufficializzazione è arrivata una decina di giorni fa con una nota dell’Istat: il crollo dell’economia nel 2020 avrà un effetto indiretto e certamente indesiderato sulle pensioni di chi lascerà il lavoro a partire dal prossimo anno. Il parametro che entra in gioco è il tasso di capitalizzazione della quota contributiva della pensione, che è appunto legato all’andamento del prodotto interno lordo in un periodo precedente di cinque anni: si parla - è bene precisarlo - dei nuovi assegni e non di quelli già in essere. Il meccanismo è basato su un periodo lungo proprio per assorbire e attutire gli effetti negativi di un singolo anno di recessione: ma la caduta del Pil nel 2020, sfiorando il 9 per cento, è stata talmente intensa da determinare addirittura un tasso leggermente negativo, precisamente lo 0,0215%. Vuol dire che il totale dei contributi versati dai lavoratori prima di essere trasformato in rendita subirebbe una pari decurtazione. Questo però non accadrà, perché una legge del 2015 (si era verificato allora un caso simile) prevede che la rivalutazione del montante non possa essere negativa e dunque sarà nulla, pari a zero.

 

 

Pensioni, la dinamica

 

Tutto bene quindi? Non proprio, perché la dinamica negativa dell’economia porterà comunque ad una perdita sulla pensione - a parità di altre condizioni - rispetto a quella di coloro che hanno lasciato il lavoro quest’anno (calcolata ancora sulla base del Pil fino al 2019) e di quella che le stesse persone avrebbero ricevuto con un andamento dell’economia “normale”. In questo confronto virtuale, la riduzione è limitata ma non impercettibile: più blanda per chi ha l’assegno calcolato con il sistema misto, per i quali il contributivo incide solo sulla quota maturata dal 2012 in poi; un po’ più consistente per i pensionandi (meno numerosi) che hanno invece il contributivo puro. In quest’ultimo caso la decurtazione sull’ammontare lordo è di circa l’1 per cento. 
Lo stesso effetto negativo si trascinerà almeno in parte per chi esce nel 2023, pur in presenza del rimbalzo del Pil, perché il tasso di capitalizzazione risulterà comunque di poco superiore allo zero e inferiore a quello che si avrebbe avuto in assenza della eccezionale recessione del Covid: il taglio potrebbe avvicinarsi al 2 per cento per i contributivi “puri”. La platea toccata il prossimo anno, in modo più o meno intenso, è quella delle nuove pensioni che saranno liquidate: sono circa 500 mila escludendo assegni sociali e trattamenti di reversibilità, non interessati da questo calcolo.

 

 

 

Il recupero

Come detto, la legge prevede l’azzeramento dell’eventuale tasso negativo con copertura finanziaria a carico dello Stato. Ma questo intervento dovrebbe poi essere recuperato sulle rivalutazioni degli anni successivi. Nel 2015 il governo decise di rinunciare a questa “rivalsa” per il bilancio dello Stato, che valeva comunque pochi milioni l’anno. La stessa ipotesi viene presa in considerazione anche stavolta e potrebbe essere concretizzata nella legge di Bilancio, nel capitolo previdenza che comprenderà le norme per il superamento di Quota 100.

 

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Il Messaggero