Una platea di lavoratori esclusi dall'adeguamento all'aspettativa di vita che potrebbe essere anche più ampia di quella delle attuali attività gravose e un...
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L'INDENNITÀ
Il primo nodo è quello dei lavoratori da esentare dall'adeguamento e quindi dall'incremento di cinque mesi di tutti i requisiti nel 2019 (l'età per la vecchiaia salirebbe a 67 anni). Oggi sono già al riparo coloro che ricadono nelle mansioni usuranti in senso stretto, ai quali sono riservati anche requisiti di uscita più favorevoli. L'idea è ampliare questa platea partendo dalle attività gravose già individuate ai fini dell'Ape sociale, l'indennità che permette di lasciare il lavoro in attesa della pensione a 63 anni: dentro ci sono camionisti e infermieri, maestre d'asilo e ferrovieri, operai edili, facchini e addetti alle pulizie. Idealmente, il numero degli interessati potrebbe ancora allargarsi in due direzioni: da una parte agli altri destinatari dell'Ape (disoccupati e disabili) dall'altra ad eventuali nuove categorie che a loro volta potrebbero essere incluse nell'anticipo. Ma è chiaro che il governo non può permettersi un'operazione eccessivamente costosa. L'altro aspetto è il meccanismo di calcolo. Finora l'incremento dell'aspettativa di vita rilevato dall'Istat ed espresso in mesi è stato aggiunto ai requisiti previdenziali ogni tre anni. Dal 2019 la verifica, esclusivamente tecnico-amministrativa e senza margini di discrezionalità politica, avverrà per legge ogni due anni. Portare la periodicità ad un anno (è una delle ipotesi) avrebbe l'effetto di rendere l'adeguamento più puntuale; tra le osservazioni fatte dai sindacati in questa tornata c'è quella relativa alla mancata incidenza dell'inatteso calo della speranza di vita registrato nel 2015 ma assorbito nell'arco del triennio. Se, come pare molto probabile, verrà prevista anche la riduzione dei requisiti in caso di decremento dell'aspettativa di sopravvivenza (oggi possono solo crescere o restare fermi) il risultato potrebbe essere una modifica molto frequente dei parametri di età e contribuzione necessari per lasciare il lavoro.
IL COMPROMESSO
Qualora il compromesso alla fine si trovasse, ciò potrebbe permettere al governo di non subire una fastidiosa fronda in parlamento, da parte dello stesso Partito democratico: ieri diversi suoi esponenti si sono detti soddisfatti della decisione di avviare il confronto con le parti sociali. Ma se il negoziato fallisse, allora tornerebbe di attualità l'idea di un rinvio di sei mesi del decreto che dovrà ufficializzare le novità del 2019.
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Il Messaggero