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Dopo una lunga via crucis, oggi la legge di bilancio da 23,4 miliardi verrà approvata dal Consiglio dei ministri. Poi la parola spetterà al Parlamento e saranno ulteriori dolori. Mario Draghi, stretto d’assedio dai soci di maggioranza e deciso a ricucire con i sindacati dopo lo scontro di martedì, ha scelto una linea di mediazione sulle pensioni adottando una soluzione provvisoria e rinviando la road map per il ritorno alla legge Fornero: quota 102 solo per il prossimo anno, quando si potrà lasciare il lavoro con 64 anni con 38 di contributi.
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Pensioni, uscita a 64 anni con scivolo di un anno
E per il 2023, sarà un «tavolo con le parti sociali da gennaio a stabilire forme di flessibilità per un ritorno graduale alla Fornero e a preparare, se sarà possibile, una riforma complessiva della previdenza», spiegano fonti di governo. Confermata la proroga di Opzione donna e il potenziamento dell’Ape social. In più il premier ha rinviato, visto lo stallo della trattativa, anche la decisione su come utilizzare gli 8 miliardi stanziati per il taglio delle tasse: il tesoretto finirà in un fondo ad hoc. Poi, durante l’iter di approvazione della manovra, verrà deciso come sforbiciare le tasse. Novità immediate invece per il reddito di cittadinanza: dopo il rifiuto della seconda proposta di lavoro, l’assegno verrà ridotto.
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La stretta
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Solo così si salvaguardano i giovani, insomma. E Franco, dopo che negli ultimi giorni erano naufragate soluzioni più «aspre», come quota 102 il prossimo anno e 104 nel 2023, ha gettato sul tavolo la proposta di 102 per il solo 2022. Con, appunto, 64 anni di età e 38 di contributi. E con un fondo di circa 500 milioni con cui traghettare i lavoratori penalizzati dai nuovi requisiti e offrire uno “scivolo” per agevolare le uscite dal lavoro nelle piccole aziende, in quelle in crisi, e dagli impieghi gravosi o usuranti. Giorgetti e Freni, senza troppa convinzione, hanno provato a chiedere quota 41 (con almeno 62 anni il prossimo anno e 63 nel 2023), ma alla fine è passata la proposta di Franco. Claudio Durigon, responsabile del lavoro della Lega, comunque l’ha presa bene: «Certo, sarebbe stata meglio quota 41, ma siamo molto soddisfatti: l’importante era non tornare alla legge Fornero. Ora abbiamo un anno per decidere cosa si farà nel 2023. Insomma, deciderà il prossimo governo...». Come dire: il prossimo anno si vota e palazzo Chigi poi toccherà a noi. E noi faremo la riforma della previdenza. Da vedere se finirà davvero così.
LA RICHIESTA DI ORLANDO
Nel corso del vertice, durato quasi quattro ore, il Pd con Orlando e Leu con Speranza hanno chiesto di «proseguire il dialogo con parti sociali su pensioni e fisco». Da qui la decisione provvisoria (per il solo 2022) sulle pensioni. E il proposito di Draghi di ricucire con i sindacati istituendo un «tavolo di confronto» con Cgil, Cisl e Uil sulla previdenza. Questo dialogo verrà esteso anche sul fronte fiscale. L’emendamento alla legge di bilancio che servirà a stabilire come utilizzare gli 8 miliardi stanziati per la sforbiciata alle tasse messi provvisoriamente nel fondo ad hoc, verrà infatti discusso anche con i sindacati e Confindustria. Un modo per rilanciare quel patto sociale caro a Draghi e al capo degli industriali Carlo Bonomi. Ma l’intenzione del premier e di Franco è già chiara: gli 8 miliardi dovranno essere utilizzati per tagliare il cuneo fiscale. Probabilmente con la formula di due terzi a favore dei lavoratori e di un terzo per le imprese. L’Irap, invece, non dovrebbe essere toccata. «Se si distribuiscono su troppe misure gli 8 miliardi, l’impatto sarebbe irrisorio», spiega una fonte di governo.
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