Pensioni estere, in arrivo controlli dell'Inps su 300mila assegni: si parte da Grecia e Portogallo

Nel complesso l’Inps passerà al setaccio quest’anno 317 mila trattamenti previdenziali, per un importo complessivo di circa 1.435 milioni di euro

Pensioni estere, in arrivo controlli dell'Inps su 300mila assegni: si parte da Grecia e Portogallo
Nuova stretta sulle pensioni all’estero. Ripartono i controlli dell’Inps per ottenere la prova di esistenza in vita dei pensionati che risiedono fuori...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
159,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
79,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA
ANNUALE
79,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
159,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 6 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

Nuova stretta sulle pensioni all’estero. Ripartono i controlli dell’Inps per ottenere la prova di esistenza in vita dei pensionati che risiedono fuori dall’Italia. Fari puntati questa volta su Europa, Africa e Oceania e in particolare su alcune destinazioni particolarmente apprezzate da chi decide di andare a svernare lontano dallo Stivale, come Portogallo, Grecia, Spagna e Tunisia.

LA LENTE

Nel complesso l’Inps passerà al setaccio quest’anno 317 mila trattamenti previdenziali, per un importo complessivo di circa 1.435 milioni di euro. Le pensioni pagate all’estero rappresentano, più nel dettaglio, il 2,4% del totale di quelle erogate dall’istituto di previdenza. Obiettivo dell’operazione: ridurre il rischio di pagamenti di prestazioni dopo la morte del beneficiario.

LA PRECISAZIONE

Intanto fa discutere l’analisi realizzata dall’Inps sul legame tra speranza di vita di singole categorie lavorative e importo della pensione. Un’iniquità che sulla carta esiste, come esplicitamente rilevato dallo studio. Ma che nella pratica sarà complicato rimuovere. Un approfondimento dettagliato inserito nel recentissimo Rapporto annuale, del quale Il Messaggero ha dato conto per primo, da cui emerge che dal punto di vista attuariale non è corretto assegnare a professioni e gruppi socio-economici con prospettive di sopravvivenza diversa gli stessi coefficienti di trasformazione ai fini del calcolo dell’importo della pensione.

Ieri dalla stessa Inps è venuta una precisazione, il cui obiettivo è chiarire che «non è nei compiti dell’istituto fare proposte al legislatore in materia di welfare». Mentre all’interno dell’esecutivo la prospettiva di un’operazione di ricalcolo degli assegni non è considerata sul tavolo. Per capire perché bisogna ricordare come funziona il sistema previdenziale italiano, che tiene conto della speranza di vita in due suoi aspetti cruciali. Da una parte questo parametro entra nella determinazione dei requisiti di uscita (vecchiaia e pensione anticipata) che si allungano quando l’Istat rileva un incremento della sopravvivenza nel biennio precedente. Ma la stessa speranza di vita, all’interno del sistema contributivo, serve a definire i cosiddetti coefficienti di trasformazione con i quali viene trasformato in rendita - e quindi in effettiva rata di pensione - il “montante” accumulato dal lavoratore nel corso della sua carriera.

Questi coefficienti dipendono dall’età di pensionamento (chi va via prima prende meno perché deve “spalmare” i contributi su un periodo presumibilmente più lungo) e vengono periodicamente rivisti per tener conto degli aggiornamenti demografici. Il parametro però è uguale per tutti, quello della speranza di vita ad una determinata età (ad esempio 67 anni). L’Inps, attingendo ai propri archivi, mostra come nella realtà la mortalità dei pensionati da lavoro sia invece differenziata per reddito, per gestione previdenziale e pure per Regione di residenza. A profili diversi corrispondono quindi situazioni diverse, anche in maniera significativa. Ad esempio, considerando il reddito, tra i lavoratori uomini che si collocano nel primo quintile (quindi con reddito più basso) e quelli dell’ultimo quintile c’è una differenza di aspettativa di vita di ben 2,6 anni, a vantaggio di questi ultimi. Ma tutti ricevono, in proporzione ai contributi versati, la stessa pensione.

GLI OSTACOLI

È realistico pensare di correggere la situazione, come sembra suggerire lo studio? A questa domanda gli esperti del settore tendono a rispondere evidenziando gli ostacoli che si pongono sul piano pratico. La materia è estremamente delicata; basta ricordare che la prima e più visibile differenza al di là di reddito e professioni è quella tra uomini e donne. Considerando la popolazione complessiva, queste ultime a 67 anni hanno una speranza di vita di 20,2 anni, contro i 17,3 degli uomini: i tre anni in più dovrebbero trasformarsi a parità di altre condizioni in pensioni più basse. Il che, per molti motivi, non è nemmeno immaginabile.

Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero