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Sono la “bestia nera” degli automobilisti distratti e anche un po’ furbetti: le multe per violazione del codice della strada. Giusto pagarle, ovviamente. Ma la loro quantificazione è altrettanto giusta? No, per niente. Molti Comuni - che con le multe rimpolpano non poco le casse municipali - a conti fatti risultano più furbetti dei multati. E, giocando sulla mancanza di «criteri oggettivi fissati dal legislatore» arrivano anche ad aumentare del 400% la voce relativa alle “spese di accertamento” che vanno ad aggiungersi ai 9,5 euro di “spese di notifica” (fissate per legge). Pur di far lievitare la somma da incassare, dentro la voce “spese di accertamento” ci mettono di tutto: costi di stampa, postalizzazione, costi di acquisto e manutenzione dei palmari per la rilevazione delle infrazioni, manutenzione delle apparecchiature e del software di gestione del servizio, moduli autoimbustanti, redazione delle distinte delle raccomandate, visure alle banche dati della Motorizzazione Civile ecc.
Senza regole
Ogni Comune fa come gli pare. E così c’è l’amministrazione comunale (la minoranza) che limita queste spese a 2,5 euro, ma poi ci sono quelle che arrivano a mettere in conto all’automobilista anche 15 euro. Dei veri e propri «abusi», contro cui l’automobilista non può nemmeno fare ricorso. A squarciare il velo sotto il quale si nascondono i “maneggi” di sindaci e assessori a danno dei cittadini, è il presidente dell’Antitrust, Roberto Rustichelli, in un’audizione davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla tutela dei diritti di utenti e consumatori. «Paradossalmente, per le sanzioni di minore importo, tra spese di notifica fissate e regolate da Agcom e queste spese ulteriori di accertamento, si può arrivare a situazioni in cui esse sono più delle spese dell’importo edittale» punta il dito Rustichelli. La fantasia (per non dire l’ingordigia) di alcuni amministratori locali, pur di incassare di più, non ha limiti.
I paradossi
«In taluni casi, la discrezionalità dei Comuni denota come gli stessi sono giunti anche a duplicare varie voci di spesa.
Una sorta di gioco delle tre carte a danno, ancora una volta, del contribuente che non può protestare. «La discrezionale definizione di tali spese, a livelli talvolta elevati, si traduce in uno sfruttamento della posizione di debolezza del consumatore/cittadino, che è costretto a pagarle - ricorda il Garante - per espressa previsione di legge senza poterne contestare il quantum in alcuna sede». Si tratta quindi di «evidenti abusi» ribadisce l’Antitrust, contro i quali «il cittadino/consumatore è indifeso». Rustichelli non ha dubbi (e il presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulla tutela dei diritti di utenti e consumatori, Simone Baldelli, concorda): per mettere fine a tutto ciò «è assolutamente necessario predeterminare normativamente l’ammontare di un costo standard valido per tutti i Comuni, ispirato a criteri di ragionevolezza, reale correlazione ai costi, trasparenza e non discriminazione degli utenti». E intanto negli uffici delle associazioni dei consumatori si preparano i moduli per i ricorsi.
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Il Messaggero